Marcello Dell'Utri avrebbe fatto da "mediatore" tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi, ponendosi quindi come "specifico canale di collegamento". I giudici della Corte d'Appello di Palermo lo hanno scritto, secondo quanto apprende l'Ansa, tra le motivazioni della sentenza con cui il senatore è stato condannato il 29 giugno a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sono 641 le pagine depositate in cancelleria dai magistrati della seconda sezione della Corte d'appello, dove si spiegano le cause di quella condanna. Il parlamentare è stato ritenuto responsabile per i fatti avvenuti fino al 1992, mentre è stato assolto per quelli successivi a quell'anno.
Il collegio presieduto da Claudio Dall'Acqua, a latere Sergio La Commare e il relatore Salvatore Barresi, gli hanno ridotto la pena dai nove anni subiti in primo grado a sette anni.
"Mangano fu assunto per proteggere Berlusconi"
Il mafioso Vittorio Mangano fu assunto, su intervento di Marcello Dell'Utri, come "stalliere" nella villa di Arcore non tanto per accudire i cavalli quanto per garantire l'incolumità di Silvio Berlusconi. Anche questo viene scritto nelle motivazioni della sentenza di condanna del senatore del Pdl.
Corte: "Nessuna prova di patto elettorale"
Non c'è una prova certa "né concretamente apprezzabile" che tra il senatore Marcello dell'Utri e Cosa nostra sia stato stipulato un ''patto'' politico-mafioso. Lo scrivono, nelle motivazioni, i giudici che hanno condannato in appello il senatore del Pdl. La sentenza sottolinea la ''palese genericità delle dichiarazioni dei collaboranti'' su questo punto. E ricordano che fino al 1993 i vertici mafiosi, e in particolare Leoluca Bagarella, erano impegnati a promuovere una propria formazione politica - ''Sicilia libera'' - di intonazione autonomista. Poi il progetto venne accantonato perché intanto era nata Forza Italia. L'appoggio elettorale dato al partito di Berlusconi non darebbe certezze sull'esistenza di un accordo. Questa ipotesi, sostenuta dall'accusa, ''difetta pertanto di quei connotati di serietà e concretezza richiesti dalla suprema corte ai fini della configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso nel caso paradigmatico del patto di scambio tra l'appoggio elettorale da parte della associazione e l'appoggio promesso a questa da parte del candidato''. ''Né sussistono prove - scrivono ancora i giudici - che la pretesa promessa e l'impegno asseritamente assunto dal politico, effettuata una verifica probatoria ex post della loro efficacia causale, abbiano fornito dall'esterno un apporto alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione mafiosa di per sé incidendo immediatamente ed effettivamente sulle capacità operative dell'organizzazione criminale, per esserne derivati concreti vantaggi o utilità per la stessa o per le sue articolazioni settoriali coinvolte dall'impegno assunto''.