Anni da grande boss. Così ha vissuto Antonio Iovine prima di essere arrestato a Casal di Principe. Viaggi a Parigi, in Costa Azzurra, vacanze sulla neve d'inverno, feste e qualche puntata al Casinò di Montecarlo per il brivido del gioco. Così i ben informati descrivono le abitudini del boss dei Casalesi. Una vita di eccessi, soffiate e fughe rocambolesche, con una rete di complicità locale molto forte, ma anche di frequentazioni altolocate.
L'intera storia della latitanza di Iovine è costellata di episodi strani, di catture sfiorate per un soffio e di trasferimenti all'estero per gestire il business dei Casalesi e per concedersi qualche "sfizio". Viaggi, gioco d'azzardo e feste in discoteca. Di stretti covi sotterranei, per ora, non ci sono tracce. Il boss era protetto da una rete molto fitta, che gli ha consentito di continuare a dirigere gli affari in grande stile.
A renderlo celebre al grande pubblico è stato il libro "Gomorra" di Roberto Saviano, ma a Casal di Principe Antonio Iovine era il "boss-manager". Dopo il "capostipite" Antonio Bardellino, affermatosi fin dagli anni Settanta nel settore del cemento e ucciso in Brasile, e Francesco Schiavone, detto "Sandokan", è riuscito a estendere il controllo del cartello camorristico in diverse regioni italiane e anche all'estero con all'attivo un fatturato di decine di omicidi e di miliardi.
Durante la latitanza, il suo nome è spuntato in diverse inchieste, ma nessuno era mai riuscito a capire dove si rifugiasse. Qualche volta gli inquirenti sono andati vicini alla sua cattura, ma il boss era sempre riuscito a fuggire in tempo. Una volta, dopo l'irruzione in un covo, gli agenti trovarono il suo letto ancora caldo, ma non riuscirono a prenderlo.
Eppure 'O Ninno non si nascondeva con ossessione. Diversi anni fa, telefonò addirittura al cronista giudiziario di un quotidiano della provincia di Caserta. Accanto a sé aveva il "collega" camorrista e fuggiasco Michele Zagaria. All'inizio il reporter non diede credito alla chiamata e pensò subito a uno scherzo, ma poi dovette ricredersi.
"Noi non stiamo scherzando, ci siamo stufati di tutte queste cretinate - disse Iovine -. Un giornale serio secondo me deve scrivere cose serie. Avete capito il messaggio qual è?". Il cronista smise di ridere e in molti capirono la filosofia di Iovine. "Voi fate il vostro mestiere e noi vi rispettiamo per quello che fate - disse al telefono -. Purtroppo noi facciamo il nostro mestiere, e ce lo siamo scelti noi". "Adesso ci stiamo riguardando perché dobbiamo affrontare delle cose giudiziarie e dobbiamo fare uscire fuori la verità - aggiunse -. Perché ognuno di noi è un martire, nel vero senso della parola".
Iovine un martire non lo era proprio, ma di sicuro era un boss molto capace. Da giovanissimo, in forza al gruppo di Bardellino, era stato un killer. Poi è stato quello che più di altri hanno saputo costruire un impero, dedicandosi alla creazione di un sistema di rapporti con le imprese per gestire il fiume di denaro proveniente dagli appalti. Durante la sua latitanza ha lavorato come un imprenditore. Un imprenditore in grado di tessere soprattutto relazioni a tutti i livelli e di dividere il "fatturato" con gli altri clan del Casertano, gli Schiavone da un lato e Zagaria dall'altro.
Per la cattura telecamere nella spazzatura
Il titolare del Viminale ha svelato uno dei trucchi utilizzati dalla "Catturandi" della squadra mobile di Napoli per arrivare ad Antonio Iovine. "Due mesi fa ero stato in questura nei loro uffici e mi hanno fatto vedere un po' di trucchi utilizzati per prendere i latitanti - ha raccontato Maroni -. Tra questi mi hanno mostrato un sacchetto di spazzatura, con nascosti all'interno un microfono e una telecamera, che veniva piazzato fuori dai luoghi dove si riteneva vi potessero essere i criminali''. ''Proprio grazie a questi trucchi - ha spiegato - è stato intercettato e catturato Iovine''.