Colleferro, 13 arresti e 25 indagati
I carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Roma (Noe) hanno sequestrato due termovalorizzatori dell'impianto di Colleferro e arrestato 13 persone con l'accusa di associazione per traffico illecito di rifiuti e truffa allo Stato. A Colleferro, secondo l'accusa, veniva smaltito ogni tipo di rifiuto violando "tutte le norme previste". Parte del materiale arrivava "di nascosto" dalla Campania e comprendeva anche rifiuti pericolosi.
Nell'inchiesta sono coinvolti amministratori di società di rifiuti e combustibile derivato da rifiuti (Cdr) in Lazio, Campania e Puglia. In totale gli indagati sono 25. Tra i tredici arrestati ci sono il direttore tecnico e responsabile della gestione dei rifiuti dell'impianto, il procuratore e responsabile della raccolta dei multimateriali dell'impianto di una società di gestione di rifiuti di Roma, soci e amministratori di società di intermediazione di rifiuti e di sviluppo di software, chimici di laboratori e analisi.
Le indagini, durate circa un anno, sviluppatesi con servizi di osservazione dei luoghi, ispezioni, controlli agli impianti e consulenze tecniche, hanno riguardato la verifica della qualità e consistenza del combustibile da rifiuti (C.D.R.) immesso nei cicli gestionali degli impianti di termovalorizzazione ubicati in Colleferro (RM), asserviti ai bacini di conferimento dei rifiuti provenienti principalmente dalle regioni Lazio e Campania.
I rilievi del NOE hanno permesso di raccogliere "inequivocabili elementi di responsabilità a carico dei soggetti che conseguivano ingiusti profitti, rappresentati dai maggiori ricavi e dalle minori spese di gestione dei rifiuti che venivano prodotti e commercializzati come CDR pur non avendone le caratteristiche, qualificabili, in parte invece, come rifiuti speciali anche pericolosi e quindi non utilizzabili nei forni dei termovalorizzatori per il recupero energetico".
Nell'ordinanza del gip Ilari si riporta come i carabinieri abbiano fermato alcuni camion con all'interno piccoli radiatori, tubi di rame, fili metallici, batterie e materiale ceramico. Oltre addirittura a pneumatici, materassi ed eternit. Nei due impianti di Colleferro, che avrebbe dovuto trattare solo combustibile derivato da rifiuti, era invece tutto proibito e, secondo l'accusa, per far "entrare" quel tipo di rifiuti nei forni non si è avuta alcuna remora.
Inchiesta partita da un dipendente "pentito"
Le indagini erano iniziate dopo la denuncia di un ex dipendente dell'impianto. Il capo-turno si presentò con un campione di rifiuti da analizzare, estratto da una vasca per il trattamento dei rifiuti che presentava picchi anomali di XCl (acido cloridico) e SO2 (biossido di zolfo). Il campione sotto forma di cilindro è stato poi fatto analizzare dall'Arpa di Frosinone che non lo ha repertato come "materiale non identificabile come cdr" bensì "rifiuto speciale e pericoloso per la presenza di idrocarburi".