Marida Lombardo Pijola su Il Messaggero
Ci sono situazioni in cui la giustizia sembra non assomigli più a se stessa. Situazioni nelle quali il diritto a tutti i costi sembra diventi ingiuria, come scriveva Cicerone, fino a smarrire il suo senso essenziale, la certezza, fino a divaricare i suoi percorsi da quelli sui quali fluiscono le ragioni del cuore, del buon senso, delle vicende umane, personali. Eppure nessuno ha torto, nella storia di Maria, la piccola bielorussa nascosta a Cogoleto dai genitori affidatari, che rifiutano di restituirla all'istituto dove ha subito abusi che l'hanno segnata indelebilmente. Chi potrebbe dar torto proprio a loro, che lottano per la giustizia dell'amore, o a quelli di Ivan, che avrebbe subito una storia simile a quella di Maria, e degli altri 15 bambini di Viljeika, che ora nessuno degli affidatari vuol rimandare indietro, ad essere sepolti in quello che sempre di più assomiglia a un buco nero, affollato da fantasmi di persecutori, da incubi di maltrattamenti, di vessazioni, di torture.
E poi c'è l'altra giustizia, quella delle regole, che ha le sue irriducibili ragioni. Nessuno può dar torto al giudice, che invita a restituire Maria, a lasciarla ricoverare in una struttura qui, in Italia, per essere curata da medici italiani e bielorussi, e poi ritornare al suo Paese. Nessuno può dare torto all'ambasciatore bielorusso che difende le leggi e l'orgoglio nazionali, che tratta, garantisce, rassicura: Maria sarà protetta, curata, seguita in Bielorussia, nessuno le farà mai più del male. E nessuno può sottovalutare l'ansia di altre migliaia di genitori affidatari di bimbi di Chernobyl, che adesso rischiano di veder negati ai propri quasi-figli quei soggiorni tanto importanti per l'anima ed il corpo, di dover spezzare legami profondissimi, di veder saltare progetti di formazione, ed interrompere il flusso di solidarietà che ha un posto importante sia nella loro vita che in quella di 30.000 bambini bielorussi. E infine nessuno può ignorare quello che a volte c'è dietro quel flusso, e che lo rende poco trasparente: i giri di danaro e di tangenti, la ricerca di strade brevi per arrivare surrettiziamente all'adozione, aggirando i tempi e le insidie della burocrazia ufficiale, scegliendosi un bambino dopo averlo "sperimentato" invece di affidarsi al caso, violando le regole e lo spirito di quell'istituto, che dev'essere sempre e solo «nell'interesse del minore». Per questo non, tutti, oggi, sono schierati dalla parte di quelli che vorrebbero diventare i genitori di Maria. Per questo molte, tra le coppie che ospitano due volte l'anno bambini bielorussi, protestano: fanno sapere che, in Bielorussia, non tutti gli istituti sono uguali. Che forse, per proteggere la bambina, poteva esserci un'altra strada meno contorta, meno illegale, meno trasversale.
Un Paese spaccato in due. E un caso che diventa troppo grande per essere risolto tra moti popolari, giudici, ambasciatori. Un caso politico, ormai. Nel quale dovrebbe entrare in ballo, ai massimi livelli, la diplomazia, quella che troppo spesso resta defilata dalla palude delle adozioni internazionali, lasciando che i bimbi dell'Est vengano spesso usati come strumento di trattativa nei processi internazionali di legittimazione, che tutto degeneri in lungaggini; illegalità, ricatti, che, nonostante il numero elevatissimo di domande, migliaia di piccoli marciscano negli istituti, afflitti dall'abbandono e dalla solitudine, prima ancora che da maltrattamenti o da torture. E' soprattutto questo che emerge, infine, dalla storia di Maria: una grande emergenza umanitaria, che deve anda-re al di là di un caso, e dilatarlo affinché scuota tutte le coscienze. Non c'è bisogno, d'altronde, di spingere lo sguardo troppo in là. Basta guardarsi in giro, a casa nostra, nella mappa degli orfanotrofi italiani, che devono chiudere per legge entro la fine dell'anno, eppure sono ancora strapieni di bimbi che nessuno vuole, per i quali nessuno è riuscito a trovare una famiglia. Nessuno sa dire se subiscano abusi. Nessuno controlla, nessuno ha mai indagato. Ma sono tutti lì, come Maria. Aspettano. Ed ogni giorno smar-riscono un pezzo della propria infanzia.