Nino Lo Giudice, ex boss della 'ndrangheta e principale pentito in un processo contro le cosche, in una lettera spiega perché non si è presentato in aula: "Ritratto tutte le accuse"
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Il pentito di 'ndrangheta, Nino Lo Giudice, del quale non si avevano più notizie dal 3 giugno, è tornato a farsi vivo con una lettera nella quale ritratterebbe le accuse fatte come collaboratore di giustizia, perché frutto "di pressioni di alcuni magistrati della Dda". Lo Giudice esclude di essere o di conoscere il regista degli attentati del 2010 alla Procura generale di Reggio Calabria e alla casa del pg Salvatore Di Landro di cui si era accusato.
La lettera è stata consegnata all'avvocato Calabrese dal figlio di Nino Lo Giudice, Giuseppe, a conclusione dell'udienza del processo Meta. La missiva è stata spedita da una località del centro Italia. I magistrati Michele Prestipino ed Ottavio Sferlazza, che seguono la vicenda, hanno informato il procuratore Federico Cafiero De Raho.
"Non mi troverete mai" - Lo Giudice chiede anche di non essere cercato. "Tanto - dice - non mi troverete mai". Quando è scomparso, l'ex boss si trovava nella località protetta in cui stava scontando agli arresti domiciliari la condanna a sei anni e quattro mesi comminatagli per gli attentati alla Procura generale di Reggio ed alla casa del pg Di Landro di cui si era autoaccusato ed ai quali, adesso, si dice estraneo.
"Manovrato da burattinai" - "Il pentito Lo Giudice si dice manovrato da una 'cricca di burattinai', un gruppo di magistrati impegnati in una guerra tra due opposte fazioni". Lo ha detto l'avvocato Giuseppe Nardo, al quale Lo Giudice ha fatto pervenire lo stesso plico che aveva fatto consegnare, nell'aula del Tribunale di Reggio Calabria, ad un altro penalista. "Nel memoriale di Lo Giudice - ha aggiunto Nardo - sono indicati i nomi dei magistrati Pignatone, Ronchi e Prestipino e del funzionario di polizia Cortese".