Dopo una vita dedicata al figlio lo uccise in un raptus di sconforto. Nella condanna a nove anni si ricorda la solitudine della famiglia
© Ansa
Quattro anni fa ha strangolato il figlio disabile con il cavo della batteria dell’auto. Oggi arriva la grazia del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’uomo, un maestro in pensione, stava scontando una pena di nove anni e quattro mesi ai domiciliari dopo che, preso da un raptus, aveva soffocato il figlio autistico. L’uomo si era subito costituito ai carabinieri: “Sono pentito.”
Una vita difficile quella di Calogero Crapanzano, segnata dalla disgrazia della malattia del figlio. Per stargli vicino aveva anche lasciato la scuola, dove lavorava come maestro. “Un padre devoto, un uomo che aveva dedicato la sua vita a curare il figlio disabile” aveva detto di lui il giudice prima di concedergli i domiciliari. Fu lo stesso maestro a raccontare la dinamica dell’omicidio ai carabinieri.
“E’ successo tutto in un raptus di sconforto. Dopo anni di sofferenza non ce l’ho fatta più.” A scatenare la reazione dell’uomo l’ennesima discussione con il giovane nata da uno dei suoi tanti e violenti accessi d’ira. Spesso Angelo, così si chiamava il ragazzo, arrivava anche a picchiare la madre.
Il 25 giugno del 2007 Calogero Crapanzano porta il figlio a fare una passeggiata. In macchina il ragazzo è preda di una delle sua crisi. Inizia a sostenere di dover smontare un condizionatore – quella di smontare gli oggetti era una delle sua fissazioni. “Poi ha iniziato ad agitarsi, a gridare e a mordersi le mani fino a farle sanguinare. Così ho afferrato cavetti che avevo in auto e l’ho ucciso.”
“Troppe volte ho chiesto aiuto alle istituzioni ma l’unico risultato era la prescrizione di psicofarmaci per il mio ragazzo.” Una solitudine, quella della famiglia, ricordata anche nella sentenza del giudice dove l’omicidio è definito “Non un dramma della follia ma un dramma della malattia.” Sempre nel dispositivo si legge: “In quale modo si tutela l’integrità delle famiglie travolte da questo male? La risposta è triste e disarmante: in nessuno”.