Parla uno dei protagonisti dello scandalo degli anni '80: "Servono condanne più severe"
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Una carriera ventennale, cominciata nel 1965 con la maglia del Lecce e terminata nell'85 con la casacca del Rapallo. Professione centravanti, Carlo Petrini giocò con alterni successi anche nel Milan di Nereo Rocco (stagione 1967/68) e nella Roma di Nils Liedholm (1975-76) prima di approdare al Bologna nella stagione 1979/80, quando il calcio italiano fu sconvolto dallo scandalo scommesse. Considerato uno dei principali responsabili, Petrini fu squalificato per tre anni e sei mesi, e riabilitato solo grazie all'amnistia concessa dalla Figc in seguito alla vittoria dell'Italia al Mondiale spagnolo dell'82. Seguirono altri due anni da comparsa e la conclusione della carriera nel campionato Interregionale con il Rapallo.
Appese le scarpe al chiodo, Petrini trovò ancor più difficoltà nel mondo degli affari. Gli ingenti debiti accumulati nei confronti di usurai e il coinvolgimento in un giro di cattive conoscenze lo costrinsero ad abbandonare l'Italia e a rifugiarsi in Francia nel completo anonimato. Nel 1998, il ritorno in Italia dopo la drammatica morte per malattia del figlio Diego.
Nel 2000, dopo aver progressivamente perso la vista per una grave forma di glaucoma (a detta dei medici conseguenza dei tanti farmaci dopanti assunti durante la carriera di calciatore), Petrini pubblicò la sua autobiografia intitolata Nel fango del dio pallone con la quale denunciò "tutto quello che nel calcio si fa, ma non si deve dire". Tutte le miserie vissute in prima persona all'interno di un mondo dorato ma permeato di ipocrisia: i pareggi “concordati” e le partite “vendute”, il doping e l’espediente per eludere i controlli, i soldi “in nero” e i piaceri di una vita dissoluta. Senza evitare di parlare apertamente dello scandalo calcioscommesse, oggi più che mai tema d'attualità.
Dopo trent'anni, ci risiamo: che idee si è fatto da osservatore esterno?
La risposta è fin troppo semplice: nulla è cambiato e nulla cambierà mai. Il marcio nel calcio esiste e sempre esisterà. Ero a conoscenza di quel che sta venendo fuori da 3-4 anni, ma onestamente non mi aspettavo uno scandalo di simili proporzioni.
Sono solo le dimensioni dello scandalo ad averla sorpresa?
Sì, che il calcio sia condizionato da scommesse e da malavita, lo sanno tutti. Da sempre. Ciclicamente se ne riparla, poi tutto finisce nel dimenticatoio e la vita va avanti.
Che differenze ci sono con lo scandalo degli anni '80?
La differenza più evidente è che oggi c'è molta più ipocrisia. E, soprattutto, c'è molta più prudenza. Si aspetta a gettare la croce addosso ai "protagonisti" della vicenda. Noi finimmo sulle prime pagine di tutti i giornali con le manette. Oggi vengono tutti trattati con i guanti, c'è molta paura a prendere posizione. Sento parlare di garantismo... Allora, il solo Paolo Rossi ottenne un trattamento "di favore". Ricordo un'intervista di Tito Stagno a Pablito: "Mi dica se lei è davvero colpevole".
Le squalifiche, però, potrebbero essere molto pesanti...
Forse vi siete dimenticati che, senza il Mondiale vinto nell'82, le nostre carriere sarebbero terminate da un giorno all'altro. Noi abbiamo pagato caro gli errori commessi. Oggi che succede? Torniamo indietro al 2006, quando scoppiò Calciopoli. Ci furono squalifiche di 6 mesi a partire da giugno e luglio, ovvero quando il campionato è fermo. Una presa in giro.
Perché i protagonisti del calcio commettono sempre gli stessi errori?
Perché la tentazione resta enorme nonostante i controlli siano molto più efficaci grazie alle nuove tecnologie. E poi tutti sanno che si rischia relativamente poco. Ci vogliono condanne più severe per combattere le tentazioni. Una vecchia storia alla quale nessuno ha mai posto rimedio.