A distanza di più di tre anni, la morte della donna presenta ancora molti, troppi aspetti da chiarire
di Paolo BrinisA distanza di più di tre anni, la morte di Liliana Resinovich presenta ancora molti, troppi aspetti da chiarire. Un colpo di scena dietro l'altro. Prima la richiesta da parte della procura di Trieste di archiviare il caso come suicidio. Poi la riapertura delle indagini con un nuovo fascicolo che vede come unico indagato per omicidio il marito della donna, Sebastiano Visintin, che si è sempre proclamato innocente. E poi quella frattura, là dove una delle vertebre si congiunge con la gabbia toracica. Lesioni, sostengono diversi consulenti medico legali, compatibili con una violenta aggressione.
Ma non tutti la vedono allo stesso modo. Ed ecco allora che un preparatore anatomico si sbilancia nel raccontare ai carabinieri che forse quella frattura l'ha provocata inavvertitamente proprio lui, durante le manovre eseguite sul cadavere nel corso della prima autopsia. Dichiarazioni che subito gli avvocati di parte civile dei parenti di Liliana Resinovich si affrettano a contestare. Con il fratello della donna che querela per falso il tecnico dell'obitorio.
Le immagini della Tac effettuata precedentemente all'autopsia – rianalizzate da un professore di medicina legale dell'Università La Sapienza - riconfermerebbero infatti che la frattura alla vertebra T2 fosse già esistente prima dell'esame autoptico. Di tutt'altro avviso rimangono i consulenti del marito di Liliana.