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Delitto Noventa, Debora Sorgato scrive una lettera a Pomeriggio 5

La donna, che si è sempre avvalsa della facoltà di non rispondere, rilasciale prime dichiarazioni spontanee da tre mesi a questa parte

Debora Sorgato, detenuta nel carcere di Verona dal 23 febbraio scorso con l'accusa di concorso in omicidio di Isabella Noventa (scomparsa - e mai ritrovata - nella notte tra il 15 e il 16 gennaio, ndr) insieme al fratello Freddy Sorgato e all'amica tabaccaia Manuela Cacco, ha inviato una lettera a "Pomeriggio Cinque".

Con questa missiva la donna racconta il dolore nel leggere così tante "cattiverie" e di esserne "profondamente amareggiata".

La lettera integrale mandata a Pomericcio Cinque - Gentilissimi, scrivo questa missiva perché trovo giusto e umano poter dire anch'io la mia verità in questa bolgia di parole e cattiverie dette pubblicamente nei miei confronti.
Ho dovuto affrontare ogni genere di avversità, lasciando agli altri l'onere di giudicare, rinchiudendomi nei miei silenzi, anche se dentro di me il dolore urlava ma non ho mai potuto permettermi il lusso di mollare, ho dovuto lottare.
Mi stupisco e sono profondamente amareggiata nel sentire tutte queste cattiverie e forse i miei silenzi, a volte possono essere scambiati per affermazioni, ma nessuno ha mai pensato che fosse insicurezza o semplicemente rassegnazione.
Il dolore non ha canoni, regole, leggi: è irregolare, asimmetrico, illegale; chi conosce il dolore ne riproduce l'eco per tutta la vita.
Dico questo perché sono stata vedova a ventotto anni e con il secondo compagno a trentadue. E incinta. Ho dovuto affrontare la mia gravidanza sola contro tutto e tutti.
La mia famiglia mi è stata vicina, mi ha aiutato come ha potuto, ma è stata dura affrontare la realtà di cui andavo incontro. La mia gravidanza è stata terminata alla trentesima settimana, mancavano due settimane al settimo mese, il mio bimbo non si alimentava più, e così hanno dovuto fare un taglio cesareo.
Il mio piccolo pulcino pesava 950 g., ma con le amorevoli cure e un mese di ospedale siamo tornati a casa e pesava un chilo e otto! Che gioia, che emozione! L'ho chiamato g. come il suo papà, l'ho voluto ricordare così visto che non lo avrebbe mai conosciuto. Oggi è un bel ragazzo tredicenne, direi bellissimo, forte educato e timido.
Del suo papà sa tutto, alla sera parliamo di lui per farlo sentire più vicino a noi. Non è semplice fare da madre e padre ma fino ad ora ce l'ho messa tutta. E continuerò a farlo finché ci sono. Gli ho insegnato di non abbattersi mai, di guardare sempre avanti e che in ogni traguardo c'è un'altra sfida. Siamo persone semplici senza pretese e senza tanti "voglio".
Questa sono io… Definta un mostro!

Sorgato Debora