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Delitto Lidia Macchi, dopo trent'anni un arresto: è l'ex compagno di liceo

La procura di Milano sembra aver trovato la soluzione del giallo sulla studentessa uccisa con 29 coltellate a Varese nel 1987

Delitto Lidia Macchi, dopo trent'anni un arresto: è l'ex compagno di liceo - foto 1
tgcom24

Dopo quasi 30 anni dall'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di Varese trovata uccisa con 29 coltellate il 5 gennaio 1987 in un bosco alla periferia di Cittiglio, potrebbe essere arrivata una svolta nelle indagini.

E' stato infatti eseguito alle prime luci dell'alba un arresto: si tratterebbe di Stefano Binda, ex compagno di liceo della ragazza.

A riaprire il caso una puntata di Quarto Grado - E a far riaprire il caso dell'omicidio di Lidia Macchi è stata una puntata di Quarto Grado condotta da Gianluigi Nuzzi su Rete 4. Nel 2014 fu ricostruito il delitto di Lidia e furono mandate in onda anche le lettere giunte alla famiglia Macchi (di cui parliamo più avanti nell'articolo). La calligrafia di queste missive è stata riconosciuta da una telespettatrice. E questa testimonianza è stata fondamentale.

Il fratello di Lidia: "Mai visto Binda in 30 anni" - "Facciamo fare alla giustizia il suo corso. E' venuto a casa nostra a cena una volta. Io in 30 anni non l'ho mai visto". E' questo il primo commento, rilasciato a "Quarto Grado", - di Alberto Macchi, fratello di Lidia.

Nel 1987 il delitto di Lidia - Lidia Macchi studiava giurisprudenza alla Statale di Milano quando è stata trovata cadavere nel 1987 nei boschi del Varesotto uccisa da numerose coltellate. Un "cold case", come si dice in questi casi, un delitto irrisolto , che ora potrebbe essere stato risolto grazie alle nuove tecnologie. L'arrestato sarebbe autore della lettera anonima giunta a casa della famiglia Macchi il 9 gennaio dell'87, giorno in cui si celebrarono i funerali di Lidia. Nella missiva, intitolata "In morte di un'amica", c'erano descrizioni della scena del crimine note solo agli inquirenti o, più probabilmente, all'assassino.

Laureato in filosofia e frequentava casa Macchi - "Siamo stupiti, speriamo che questo serva per fare emergere finalmente la verità". E' quanto ha spiegato l'avvocato Daniele Pizzi, legale dei familiari di Lidia Macchi. L'arrestato, Stefano Binda, conosceva la ragazza e qualche volta aveva anche frequentato la sua casa, anche se non era un amico stretto. Frequentava anche, come la studentessa, l'ambiente di Comunione e Liberazione. Laureato in filosofia, l'uomo non era mai entrato nel giro dei sospettati nel corso delle indagini. Tra gli elementi decisivi per arrivare all'arresto anche una perizia calligrafica sulla lettera anonima che venne inviata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali.

Le citazioni in latino - "Perché io, perché tu, perché le stelle sono così belle... In una notte di gelo la morte urla, grida d'orrore e un corpo offeso, velo di tempio strappato, giace... Consummatum est...Non è colpa mia, è la morte che ha voluto la sua vita. Io l'amavo, perdonatemi". Questo il testo della missiva, come riporta il quotidiano Il Giorno. In fondo alla lettera un disegno simile a un'ostia. Il latino e l'ostia sono stati probabilmente gli elementi che hanno fatto entrare in scena Don Antonio Contestabile. In un altro foglio, all'interno di un'agenda rinvenuta a casa di Binda, è stata trovata la scritta "Stefano è un barbaro assassino". La grafia, secondo l'ordinanza di custodia cautelare "risulta ascrivibile allo stesso Binda".

L'ingiustizia subita da Don Antonio Contestabile - Don Antonio Costabile era il responsabile del gruppo scout frequentato da Lidia Macchi e ha dovuto convivere con un ingiusto alone di sospetto che ha creato un grave danno alla sua immagine. La sua posizione è stata archiviata dalla Procura di Milano dopo che quella di Varese aveva "dimenticato" nei suoi cassetti il caso. Per anni i pm di Varese avevano indagato "informalmente" su di lui senza mai iscriverlo.

Il primo caso col test del Dna - L'omicidio di Lidia Macchi, che aveva 21 anni, fu il primo caso in Italia in cui si ricorse al test del Dna. Allora l'esame veniva definito test per rilevare l'impronta genetica ("dna finger printing") e il materiale organico trovato sul corpo di Lidia venne mandato nel laboratorio inglese di Abingdon. Lo stesso laboratorio analizzò anche il sangue delle persone coinvolte nell'indagine.

Le indagini su Giuseppe Piccolomo - Nel 2014 la svolta nelle indagini la Procura Generale di Milano prima ha tolto l'inchiesta dalle mani dei pm di Varese e poi l'ha chiusa accusando di omicidio volontario aggravato Giuseppe Piccolomo. Piccolomo era stato già condannato all'ergastolo per il cosìddetto delitto "delle mani mozzate", avvenuto sempre in provincia di Varese. Una perizia sui reperti ritrovati sul corpo e sull'auto di Lidia Macchi, però, ha portato nei mesi scorsi a scagionare Piccolomo.