IL CASO DI PAOLA R.

Svizzera, 89enne di Bologna morta in clinica con il suicidio assistito

L'anziana, Paola R., è stata accompagnata da due attiviste di Eutanasia Legale, Felicetta Maltese e Virginia Fiume, che ora rischiano fino a 12 anni di carcere: giovedì l'autodenuncia

08 Feb 2023 - 16:42
 © Afp

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È morta in una clinica svizzera, accedendo al suicidio assistito, una donna di 89 anni di Bologna malata di Parkinson in forma ormai gravissima. L'anziana, Paola R., che aveva contattato l'Associazione Luca Coscioni, è stata accompagnata da due attiviste di Eutanasia Legale, Felicetta Maltese e Virginia Fiume, che ora rischiano da 5 a 12 anni di carcere e che si autodenunceranno giovedì nel capoluogo emiliano. L'89enne non era tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, pertanto era esclusa dalla possibilità di accedere al suicidio assistito in Italia.

La lettera di Paola: "Un corpo diventato gabbia"

 Prima di morire la donna ha inviato una lettera all'Associazione Coscioni. "Non sono autonoma in nulla - ha scritto -, tranne che nel pensiero. Tale decisione è maturata nel tempo. Dal 2012 un inizio di malessere chiaramente diagnosticato nel 2015. Un graduale e lento decorso verso la totale immobilità. Ora sono vigile in un corpo diventato gabbia senza spazio né speranza. Anzi stringe, ora dopo ora, inesorabile la morsa. La diagnosi è un parkinsonismo irreversibile e feroce (taupatia) arrivato ad uno stadio che non mi consente più di vivere".

Autosomministrazione del farmaco

 Una volta arrivata nella clinica in Svizzera, Paola è stata sottoposta alle visite di verifica delle sue condizioni, nelle quali ha confermato la sua volontà di morire, e poi si è autosomministrata la dose di farmaco eutanasico. 

Niente "aiuto" in Italia perché non aveva "sostegni vitali"

 In Italia Paola non aveva potuto accedere all' "aiuto al suicidio" dal momento che non aveva uno dei requisiti previsti dalla sentenza della Consulta 242/2019 relativa al caso Cappato-Antoniani, cioè non era tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Nel nostro Paese quello che viene chiamato "aiuto al suicidio" è legale solo quando la persona che ne fa richiesta è affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, pienamente in grado di prendere decisioni consapevoli ed è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, come nel caso di Federico Carboni, che a giugno ebbe la possibilità di accedere al trattamento.

 

L'avvocato Gallo: "Discriminazione tra malati"

 "Paola è stata costretta a ricorrere al suicidio assistito all'estero - spiega l'avvocato e segretaria dell'Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo - a causa di una discriminazione tra malati scaturita dalla decisione con cui la Corte costituzionale nel 2019 ha depenalizzato l'aiuto al suicidio solo per malati in determinate condizioni". 

L'autodenuncia giovedì mattina a Bologna

 Giovedì mattina, appena rientrate in Italia dalla Svizzera, Fiume e Maltese, le due donne che hanno accompagnato Paola in Svizzera, si recheranno alla caserma dei carabinieri di Bologna accompagnate dall'avvocato Gallo e da Marco Cappato, che si autodenuncerà con loro in veste di legale rappresentante dell'associazione Soccorso civile, che ha organizzato e finanziato il viaggio verso la Svizzera, della quale fanno parte 17 disobbedienti civili.

Il viaggio in Svizzera con Paola

 "Ogni minuto passato con la signora Paola è stato un inno alla vita e alla libertà, del corpo e della mente - dichiarano le due donne -. Accompagnarla in questo viaggio e scegliere di autodenunciarci significa mettere a disposizione la nostra energia e la nostra libertà per aiutare persone che non possono farlo da sole e proteggere un diritto umano fondamentale, ma soprattutto per essere parte di una lotta più grande frutto del coraggio di persone come Piergiorgio Welby e Dj Fabo, che hanno messo la loro sofferenza e il loro amore per la vita a disposizione per ottenere leggi e diritti per chiunque". 

"Basterebbe anche solo un viaggio in Svizzera con una di queste persone - aggiungono - per capire quanto sia ingiusto privare gli individui della loro libertà e condannarli a essere prigionieri involontari di un corpo che offre una superficie ancora più stretta di una prigione". 

L'avvocato: "Serve una legge senza discriminazioni"

 "La Corte Costituzionale - chiarisce Filomena Gallo - ha più volte sollecitato il Parlamento ad emanare una legge che, senza discriminazioni, rispetti le scelte di fine vita delle persone malate". A seguito delle nuove disobbedienze civili, aggiunge, "saranno ancora una volta i tribunali ad intervenire sui singoli casi e ancora una volta dinanzi alla mancanza di volontà politica nell'emanare una legge adeguata, sarà la giurisprudenza a tutelare i diritti delle persone". 

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