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Messina, strangola la compagna e poi chiama i carabinieri | Lei sognava da medico di lottare contro il coronavirus

Entrambi erano studenti di medicina. Lui ha tentato il suicidio prima di avvertire i militari

Furci Siculo (Messina), Lorena Quaranta strangolata dal compagno

Una donna, Lorena Quaranta, è stata strangolata dal compagno a Furci Siculo, in provincia di Messina. A chiamare i carabinieri è stato lo stesso aggressore. L'uomo, in stato confusionale e dopo aver tentato il suicidio, ha spiegato ai militari quanto compiuto. Entrambi erano studenti di Medicina a Messina. Lei sognava di lottare contro il coronavirus e affidava questi suoi pensieri ai social.

La vittima si chiamava Lorena Quaranta, originaria di Favara (Ag) ed era iscritta alla facoltà di Medicina a Messina.

 

Il compagno, anche lui studente di Medicina, che ha confessato il delitto, avvenuto al culmine di una lite violenta, è Antonio De Pace, calabrese di Vibo Valentia.

 

Prima di chiamare i carabinieri avrebbe cercato di suicidarsi tagliandosi le vene, ma l'arrivo dei militari gli ha salvato la vita. Gli inquirenti lo stanno interrogando.

 

Chi era la vittima - Lorena Quaranta era una studentessa di Medicina originaria di Agrigento. La sua era una grande passione e in questi giorni di emergenza sanitaria, vedendo i suoi colleghi combattere in prima linea, su Facebook raccontava il sogno di diventare presto una di loro. Così si era anche fotografata in corsia con mascherina e cuffia, commentando la foto con “Il mio posto”.

 

Degli altri medici sulla linea del fronte, ammirava soprattutto il sacrificio. "Inaccettabile", ha commentato la studentessa davanti alla notizia di tutti i sanitari morti per curare i pazienti di Covid-19.

 

“Ora più che mai bisogna dimostrare responsabilità e amore per la vita, - scriveva sui social. - Abbiate rispetto di voi stessi, delle vostre famiglie e del vostro Paese. E ricordatevi di coloro che sono quotidianamente in corsia per curare i nostri malati. Rimaniamo uniti, ognuno nella propria casa. Evitiamo che il prossimo malato possa essere un nostro caro o noi stessi”.

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