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Mafia, blitz contro alcuni clan di Palermo: 16 fermi | I Pm: "Cosa Nostra 'gestiva' gli aiuti durante la pandemia"

Tra i fermati anche il capomafia Giuseppe Cusimano, punto di riferimento per le famiglie indigenti del quartiere Zen: avrebbe tentato di organizzare una distribuzione alimentare per i poveri durante il primo lockdown del 2020

La Dda di Palermo ha disposto il fermo di 16 persone accusate di associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsioni, danneggiamenti, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco. L'indagine, condotta dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Palermo, riguarda il "mandamento" mafioso di Tommaso Natale e, in particolare, le "famiglie" di Tommaso Natale, Partanna Mondello e ZEN - Pallavicino.

I problemi nel nuovo clan allo Zen Dall'inchiesta emerge la nascita di un nuovo clan mafioso, quello dei quartieri Zen-Pallavicino affidato al capomafia palermitano Giuseppe Cusimano. Le indagini hanno evidenziato che il neo costituito clan aveva problemi gestionali, dovuti "all'esuberanza criminale" e alla violenza di alcuni suoi esponenti. Un esempio è quanto accaduto a nel quartiere ZEN, quando due gruppi armati si sono sfidati "a duello". Le due bande si sono affrontate, armi in pugno, in pieno giorno e in strada, sparando colpi di pistola che solo per un caso fortuito non hanno provocato la morte o ferito nessuno. L'episodio ha indotto i vertici mafiosi a prendere provvedimenti e a progettare l'eliminazione di alcuni soggetti non "allineati" e non controllabili. Solo l'intervento degli inquirenti ha scongiurato nuovi omicidi.

 

La spesa ai poveri durante il lockdown Proprio Cusimano sarebbe stato il punto di riferimento per le famiglie indigenti del quartiere Zen e avrebbe tentato di organizzare una distribuzione alimentare per i poveri durante il primo lockdown del 2020. E' la conferma di quanto gli inquirenti denunciano dall'inizio della pandemia: Cosa nostra tenta di accreditarsi come referente in grado di fornire aiuti alla popolazione alla ricerca del consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l'esercizio del potere mafioso. 

 

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Le rapine con armi da guerra ed esplosivo Lo stesso clan pianificava rapine a portavalori e distributori di benzina con armi automatiche da guerra ed esplosivo al plastico. L'intento dei vertici della famiglia mafiosa era assaltare un portavalori di una società di vigilanza per incamerare denaro liquido da riutilizzare per il sostentamento dei mafiosi liberi e detenuti. Lo stesso progetto riguardava un distributore di benzina, che utilizzava vigilanza armata. L'organizzazione, viene fuori dall'inchiesta, non avrebbe esitato a usare le armi per neutralizzare il vigilante e rapinare l'esercizio commerciale.

 

L'azione capillare del racket a Palermo Le indagini hanno anche dimostrato che il racket continua a vessare imprenditori e commercianti a Palermo. Gli estortori continuano a imporre le imprese amiche ai costruttori impegnati in attività edili e riscuotono il "pizzo", in maniera capillare, dai commercianti locali. In caso di resistenze da parte degli operatori economici, i boss non esitano a porre in essere minacce, danneggiamenti, incendi. L'inchiesta ha ricostruito 13 estorsioni aggravate dal metodo mafioso (10 consumate e 3 tentate) e due danneggiamenti seguiti da incendio. Cinque imprenditori vittime degli estintori hanno scelto di denunciare e si sono rivolti agli investigatori. 

 

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