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Lecce, morì nei campi sotto il caldo torrido: 2 condanne a 14 anni

Il 47enne bracciante sudanese Mohammed Abdullah fu costretto a lavorare a una temperatura che sfiorava i 40 gradi mentre, come evidenziato dall'autopsia, aveva la febbre alta e una polmonite virale

Lecce, morì nei campi sotto il caldo torrido: 2 condanne a 14 anni - foto 1
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Pesanti condanne a Lecce per la morte di Mohammed Abdullah, bracciante sudanese di 47 anni deceduto in seguito a un malore nel pomeriggio del 20 luglio 2015 nelle campagne salentine, mentre raccoglieva pomodori in una giornata dal caldo torrido.

I giudici della Corte d'Assise hanno condannato a 14 anni e sei mesi di reclusione ciascuno Giuseppe Mariano, di 82 anni, imprenditore agricolo di Porto Cesareo (Lecce), e Mohamed Elsalih, 42enne originario del Sudan, ritenuto un mediatore per gli arrivi in Salento dei braccianti stagionali da impiegare nella raccolta nei campi.

Il giorno della morte, Abullah aveva la febbre alta e una polmonite virale - Abdullah, sposato e padre di due figli, lavorava senza un contratto legale e senza garanzie sanitarie. Nel giorno della sua morte, la temperatura sfiorava i 40 gradi e avrebbe dovuto sconsigliare a chiunque il lavoro nei campi. Invece il 47enne fu mandato al lavoro senza la minima tutela. L'uomo era malato, ma nessuno aveva riscontrato le sue patologie perché non era mai stato sottoposto a una visita medica, come ha accertato il medico legale Alberto Tortorella. Nel corso del processo Tortorella ha riferito ai giudici che quel giorno l'uomo, così come ha evidenziato l'autopsia, aveva febbre alta e una polmonite virale. 

 

Sentenza più dura rispetto alle richieste della pubblica accusa - La sentenza della Corte presieduta da Pietro Baffa è andata oltre le richieste della pubblica accusa che aveva chiesto la condanna dei due imputati alla pena di 11 anni e sei mesi di reclusione ciascuno per riduzione in schiavitù e omicidio colposo. Nella sua requisitoria, il pm Francesca Miglietta ha accusato i due di aver costretto i braccianti a lavorare in condizioni di assoluto sfruttamento e soggezione. La vittima, infatti, lavorava come gli altri braccianti più di 10 ore al giorno nei campi sotto il sole cocente e in condizioni usuranti e disumane, senza pause né riposi settimanali, per una paga che non arrivava a 50 euro. Ovviamente, in nero.

 

Gli imputati giudicati colpevoli di riduzione in schiavitù e omicidio colposo - Per entrambi gli imputati è stata disposta l'interdizione dai pubblici uffici. La Corte, inoltre, ha disposto il risarcimento danno in favore della vedova del 47enne e delle altre parti civili, tra cui le organizzazioni sindacali Cgil Lecce e Flai-Cgil Brindisi. E ha ordinato la trasmissione degli atti in Procura in relazione alle dichiarazioni rese da alcuni lavoratori citati come testimoni e ritenute false. Le motivazioni saranno depositate tra sessanta giorni

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