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Suicida per bullismo, padre: "Vadano in scuole a spiegare"

I componenti del branco hanno ottenuto dal tribunale la messa alla prova. Il genitore della ragazza: "Dicano ai ragazzini quali mostri può creare Internet"

"Questi ragazzi dovrebbero andare nelle scuole per anni a spiegare quanto male hanno fatto con i loro video, i loro messaggi, le loro parole".

A parlare, in una lunga intervista al Corriere della Sera, è Paolo Picchio, il padre di Carolina, la 14enne novarese morta suicida nel gennaio 2013 perché vittima di episodi di bullismo. "Che spieghino ai ragazzini quanti rischi e quali mostri può creare Internet", chiede l'uomo.

"Questo - prosegue il padre di Carolina - per me vuol dire metterli alla prova. Io non urlo, non chiedo galera a vita o punizioni esemplari. Tanto non sarà la rabbia a riportare indietro mia figlia. Ma pretendo che almeno capiscano fino in fondo la gravità del loro comportamento".

La ragazzina era stata presa di mira da un gruppo di ragazzi, un maggiorenne e sei minorenni, che la fecero bere e poi, con un telefonino, la filmarono mentre vomitava e loro si esibivano in uno "spettacolo" a sfondo sessuale. "Parliamo di questi ragazzi - prosegue l'uomo -. Mia figlia ha lasciato una specie di testamento, non ci è voluto molto a risalire a chi le ha reso la vita impossibile per mesi e mesi, chi l'ha additata con ogni genere di parolacce facendola sentire una nullità. Per un po' ho creduto che fosse stata una questione di crudeltà espressa a parole. Poi è saltato fuori il video... L'hanno messo in rete... più di duemila visualizzazioni in pochissimo tempo... Chissà quanto deve aver sofferto la mia Carolina...".

A parte per uno dei ragazzi del gruppo, minore di 14 anni e quindi non punibile, per gli altri il tribunale ha deciso la messa alla prova, cioè un trattamento di recupero in una struttura esterna. "Magari potrebbero assistere anziani o disabili - dice Paolo Picchio - ma più di tutto mi aspetterei che diventassero paladini dell'antibullismo. Lo devono a Carolina. Avrei voluto che in questi anni mi scrivessero almeno due righe per chiedere perdono. Non l'hanno fatto e non credo che abbiano capito davvero quanto sono responsabili. Nel branco si pensa sempre che a fare il peggio sia stato l'altro...".

E sul fidanzatino di Carolina, che faceva parte del branco e che lo scorso anno è rimasto paralizzato dopo un tuffo al mare, l'uomo dice: "Mi dispiace che gli sia andata così, ma io ho perso mia figlia: non posso perdonare né lui né gli altri".