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Hind Lafram, la prima stilista italiana per donne musulmane: "voglio mostrare la personalità, non le forme"

A Tgcom24 ha raccontato di quando è nata la sua passione e di come la sua idea di moda sia quella di "un ponte, che unisca tutte, anche chi professa unʼaltra religione"

Hind Lafram, la prima stilista italiana per donne musulmane:
ufficio-stampa

Una moda made in Italy, per musulmane made in Italy.

E' quello che vuole fare Hind Lafram, la prima stilista italiana per le donne che vogliono indossare il velo. A prima vista potrebbe sembrare un modo per rimarcare le differenze fra cultura islamica e occidentale. Ma, lei precisa: "Ho confezionato molti abiti anche per donne di altre religioni, alle quali piaceva il modello". Nata in Marocco, ma vissuta Torino, a Tgcom24 racconta di come voglia fare della sua arte un ponte fra tutte le donne.

Una passione nata da piccolissima Non frequentava ancora le scuole medie, quanto la madre le ha regalato la sua prima macchina da cucire: "All'inizio facevo vestiti per le barbie. Qualche anno dopo, cucivo pantaloni con il cavallo basso, come si portavano allora, soprattutto per me e mia sorella. Così mi sono accorta che piacevano anche alle altre persone". Il cambiamento definitivo arriva alle superiori. Dopo due anni di ragioneria, Hind Lafram si accorge di due cose: voleva indossare il velo e diventare stilista professionista. Mentre si iscrive alla scuola di moda di Torino, sperimenta le prime creazioni su se stessa. Doveva risolvere un problema che molte ragazze musulmane affrontano quando arriva l'estate: "E' difficile conciliare la necessità di coprirsi, con quella di non avere troppo caldo. Bisogna trovare i tessuti adatti, però anche del colore e del modello che ci piacciono", spiega. "Compravo stoffe molto leggere e cucivo abiti interi".

Da Facebook al brand Nel 2014 apre una pagina Facebook e inizia a condividere le foto delle sue creazioni. All'inizio le vedevano solo le amiche, oggi è la vetrina del brand che ha fondato a maggio del 2017: Hind Lafram Collection. "Ho conosciuto il professor Paolo Biancone, che insegna Economia aziendale all'università di Torino, ed è rimasto sorpreso dal fatto che in Italia ci sia una grande richiesta di vestiti per musulmane, ma nessun tipo di offerta. Il mercato della moda sembra saturo, ma non è vero". E' con la sua collaborazione che, dopo essersi diplomata, ha fondato la prima società di Modest Fashion del nostro Paese. Il lancio ufficiale è avvenuto qualche mese dopo, alla Torino Fashion Week. Quest'anno le sfilate a Roma e a Cosenza.

Una donna con personalità Lafram dice di cucire abiti per donne che "amano mostrare non le forme, bensì la spiccata personalità". Un'affermazione che potrebbe infastidire un pubblico occidentale, per il quale una cosa non esclude l'altra. Ma la stilista spiega meglio: "Nel mondo della moda si tende a scoprire più parti possibili del corpo femminile, in modo che l'abito risulti sexy e attiri l'attenzione di fotografi e giornalisti. La donna viene strumentalizzata e non ci si concentra sul vestito. Io cerco di mostrare un altro lato del fashion, dove non si ha bisogno di mettere le curve in bella vista. Non è più giusto, è solo diverso". Forse Lafram sottolinea questo aspetto in particolare, perché è stanca di musulmane che "vengono rifiutate ai colloqui di lavoro perché portano il velo e non andrebbero bene da ragazza immagine. Ma intendo anche per ruoli dove l'aspetto non conta, come quello di segretaria o commessa". La sua invece è "una donna musulmana a 360 gradi. Creo outfit per il giorno, per la sera e per lo sport. Perché anche chi è di religione islamica esce la sera e si allena".

Una moda per tutte "Il Modest Fashion non è una moda che si contrappone a quella occidentale, ma è una delle tante correnti", risponde a chi le chiede se creare abiti per musulmane non rischi di alzare un muro con il resto del mondo. Quando progetta, in realtà, Hind Lafram pensa a tutte le donne: "Ho confezionato abiti anche per europee alle quali piaceva il modello. Anzi, l'80% delle mie clienti non sono di religione islamica". Proseguendo nel discorso, sottolinea una sfumatura nell'idea del coprire il corpo, che non ha nulla a che vedere con il proprio credo: "Ho ricevuto alcune richieste particolari, da donne che non volevano scoprirsi a causa di malattie. Da chi non poteva mostrare la pelle al sole a chi voleva un turbante che sostituisse i capelli caduti a causa della chemioterapia".