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Rimini, sgominato gruppo criminale dedito a frode informatica: "I truffatori si fingevano funzionari di polizia"

Nell'operazione "The Jackals", avviata nel 2020, i 4 indagati sono accusati anche di furto aggravato, accesso abusivo a sistema informatico e indebito utilizzo di carte di pagamento elettronico

Tgcom24

Si spacciavano anche per funzionari di polizia per ottenere informazioni dagli Uffici dell'Anagrafe e le banche così da attivare carte di pagamento sottratte ai postini. Il gruppo criminale, sgominato dalla polizia nell'operazione "The Jackals", era composto da un 45enne e un 42enne, già noti alle forze dell'ordine ed entrambi di Napoli ma residenti a Cattolica, nel Riminese, dalla moglie del 45enne e dal figlio. Tra le accuse, frode informatica.

I quattro sono indagati anche per i reati di furto aggravato, accesso abusivo a sistema informatico e indebito utilizzo di carte di pagamento elettronico.

 

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna ha disposto la custodia cautelare in carcere per il 45enne e il 42enne, considerati rispettivamente la "mente" dell'attività e il suo "braccio destro", e l'obbligo di dimora nel comune di residenza e presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria per le altre due persone coinvolte. Tra queste ultime, la moglie del 45enne interveniva nell'attivazione delle carte quando era necessario avvalersi di una voce femminile con gli operatori dei call center, mentre il figlio era coinvolto attivamente nei furti.

 

Dall'attività investigativa condotta dalla polizia postale e delle comunicazioni per l'Emilia-Romagna è emerso, infatti, come il gruppo fosse dedito al furto sistematico della corrispondenza assicurata e raccomandata affidata ai portalettere così da impossessarsi e utilizzare poi indebitamente gli strumenti di pagamento contenuti nelle missive come carte di credito, tessere Bancomat e carte revolving per acquisti di beni di lusso o presso esercenti compiacenti.

 

I furti, iniziati nel luglio 2020, hanno colpito numerosi postini, che, dopo essere stati seguiti, si ritrovavano con il bauletto dei loro mezzi di trasporto forzato e il contenuto sparito. Nella maggior parte dei casi, le carte di credito rubate risultavano essere già attive, negli altri casi gli indagati, si procuravano i dati sensibili necessari - come utenze cellulari, indirizzi, informazioni personali - chiamando gli uffici di Stato Civile, la polizia municipale, le banche, i gestori di servizi di energia e addirittura in alcuni casi spacciandosi anche per personale delle forze di polizia impegnate in servizi di emergenza connessi all'emergenza coronavirus.

 

Il danno finanziario arrecato - non quantificabile ma che si dovrebbe aggirare, complessivamente, in diverse centinaia di migliaia di euro - non si limita a quello subito dalle società che emettono le carte di credito e da Poste Italiane, ma colpisce anche tutti i mittenti e destinatari delle raccomandate/assicurate rubate - nell'ordine di centinaia di pezzi - che contengono abitualmente le comunicazioni di maggiore importanza tra cui atti giudiziari e notificazioni della pubblica amministrazione e che sono andate interamente distrutte.

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