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Stamina, Vannoni: "Non sono un ciarlatano. Forse andrò all'estero"

In unʼintervista si difende dalle accuse: "Perché esista una truffa, occorre che qualcuno intaschi del denaro. A Brescia, in una struttura pubblica, nessun paziente pagava un euro"

Ansa

Dopo i veleni di queste settimane, Davide Vannoni, l'ideatore del controverso metodo Stamina, fa il punto della situazione in un'intervista al quotidiano "Repubblica". Respinge innanzitutto l'accusa di essere un ciarlatano e non un medico visto che non ha una laurea in medicina ma in lettere e filosofia: "Sono un presidente di fondazione, come Montezemolo per Telethon. Mai preso una siringa in mano, mai curato nessuno, ci mancherebbe. A quello pensano i nostri specialisti". Niente imbrogli, quindi, a suo dire: "Perché esista una truffa, occorre che qualcuno intaschi del denaro. A Brescia, in una struttura pubblica, nessun paziente pagava un euro e a San Marino pagava solo chi poteva".

Il rpesidente di Stamina si considera il bersaglio di una battaglia più grande: "Siamo certamente vittime della lobby dei farmaci, della burocrazia e della politica. Tutto sulla pelle di chi sta morendo".

Su questo punto argomenta nel dettaglio: "Una persona colpita da malattie neurodegenerative costa circa 300 mila euro all'anno allo Stato. Un ciclo di iniezioni mensili tradizionali, per lo più inefficaci, costa 28 mila euro. L'industria farmaceutica non ha certo interesse a incoraggiare altri soggetti e altri farmaci".

L'accusa più grave che gli viene rivolta, quella di lucrare sulla sofferenza dei pazienti, viene seccamente respinta: "Perché esista una truffa, occorre che qualcuno intaschi del denaro. A Brescia, in una struttura pubblica, nessun paziente pagava un euro".

Dopo che un paziente è morto a Trieste Vannoni rischia pure un'accusa per omicidio colposo, anche se per ora lui esclude l'ipotesi: "Quella persona è morta di polmonite dopo essere stata costretta a interrompere le cure, mentre i suoi familiari ci imploravano di proseguire. Associazione a delinquere? Con due direttori sanitari e venti medici dalla nostra parte? Per favore, non scherziamo".

Se è tutto così sicuro, perché allora la Fondazione non rende pubblica la metodica praticata? "Perché - spiega il presidente - il sistema non è brevettato e per evitare che in Israele oppure a Hong Kong qualcuno lo metta in pratica copiandolo, e chiedendo 30 mila euro a iniezione".

Ma non esclude di trasferire il suo team all'estero: "Abbiamo individuato una clinica a Capo Verde, attualmente inutilizzata. È già stata costituita una cooperativa di pazienti, senza fini di lucro, massimo una quota a testa. Queste persone apriranno un laboratorio con i propri soldi, pagheranno gli stipendi ai nostri biologi e noi li cureremo. Per la sanità sarà una vera rivoluzione, un'innovazione mondiale".