Ancona, "caporali" si facevano restituire metà stipendio da operai | Le vittime: "Meglio avere 600 euro che vendere le rose in strada"
I tre avrebbero restituito fino a 700 euro (su uno stipendio di 1.200 euro) mensili a due collaboratori del loro datore di lavoro
Per tre anni tre operai bengalesi, assunti da una ditta di appalti al porto di Ancona, hanno ricevuto buste paga dimezzate per assicurarsi un lavoro e con esso il permesso di soggiorno per rimanere in Italia.
I tre avrebbero restituito fino a 700 euro (su uno stipendio di 1.200 euro) mensili a due collaboratori del loro datore di lavoro. "Meglio avere 600 euro che vendere rose in strada", le parole delle vittime spinte dallo stato di bisogno ad accettare quella condizione.
La vicenda del presunto caporalato risale al 2017 ed è emersa in un processo ad Ancona dove una sindacalista ha ricostruito i fatti come testimone dell'accusa. Il titolare della ditta è stato assolto in abbreviato mentre i suoi due aiutanti sono a processo per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Consegnando le riscossioni mensili che avvenivano in contati, per un totale di quasi 30mila euro in tre anni, secondo l'accusa, avrebbero guadagnato una parte del profitto. Gli operai che sono parti offese non lavorano più per quella ditta. La prossima udienza è stata fissata al 17 maggio.
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