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Corruzione e riciclaggio, decine di arresti in tutta Italia

Sequestrati 1,2 mln tra immobili, conti correnti e quote di società. Per il parlamentare i pm avevano chiesto lʼarresto ma il gip non ha accolto

Ci sono anche il deputato Antonio Marotta (Ap), l'ex sottosegretario Giuseppe Pizza e suo fratello Raffaele tra gli oltre 50 indagati nell'inchiesta che ha portato a 24 arresti, 5 misure interdittive e sequestrato più di 1,2 milioni di euro tra immobili, conti e quote societarie.

I reati contestati sono associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, corruzione, riciclaggio, truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita.

Per Marotta pm avevano chiesto l'arresto - Riguardo alla posizione del parlamentare, nei suoi confronti i pm avevano sollecitato l'arresto in carcere. Il gip ha però escluso alcuni fatti a lui contestati e ciò ha fatto cadere i presupposti per applicare la misura detentiva. Nello specifico, Marotta è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura per partecipazione ad associazione a delinquere, corruzione, finanziamento illecito dei partiti e riciclaggio. Il gip non ha ritenuto sussistenti l'associazione per delinquere, ha riqualificato la corruzione in traffico di influenza illecita, mentre delle ipotesi di finanziamento illecito ne ha ritenuta sussistente una sola. Infine il reato di riciclaggio contestato dai pm è stato riqualificato dal gip in ricettazione.

Marotta voleva tornare al Csm: "Lì il vero potere" - Marotta puntava a rientrare al Csm. Il suo proposito emerge da una intercettazione presente nell'ordinanza di custodia cautelare. Marotta era stato al Csm dal 2002 al 2006 componente in quota Udc. In una conversazione intercettata il 3 marzo del 2015 nell'ufficio di Pizza, il parlamentare diceva di essere scontento di fare il deputato e di voler tornare a Palazzo dei Marescialli, trattandosi, a suo dire, di un luogo in cui si esercita il vero potere. Marotta: "No, loro la fanno però devono passare i quattro anni, perché sennò non ci posso tornare, no? Io se potevo rimanere lì me ne fottevo di venire a fare il deputato a perdere tempo qua, che cazzo me ne fottevo... stavo tanto bene là, il potere là è immenso, là è potere pieno, non so se rendo l'idea... ci sono interessi... sono legati grossi interessi, grossi interessi non avete proprio idea".

Al centro dell'inchiesta c'è la figura del faccendiere capitolino Raffaele Pizza, che opera nel settore delle pubbliche relazioni e che - riferisce la Gdf - ha "forti entrature politiche, grazie a salde ed antiche relazioni con personalità di vertice di enti e società pubbliche". Pizza è fratello di Giuseppe, anch'egli indagato, sottosegretario alla pubblica istruzione dal 2008 al 2011, ora segretario nazionale della nuova Democrazia Cristiana. L'uomo costituiva "lo snodo tra il mondo imprenditoriale e quello degli enti pubblici svolgendo un incessante e prezzolata opera di intermediazione nell'interesse personale e di imprenditori senza scrupoli, interessati ad aggiudicarsi gare pubbliche".

Sfruttando legami stabili con la politica, il faccendiere si adoperava anche per favorire la nomina "ai vertici di enti e società pubbliche, di persone a lui vicine, così acquisendo ragioni di credito nei confronti di queste che, riconoscenti, risultavano permeabili alle sue richieste". Il faccendiere utilizzava uno studio ubicato accanto al Parlamento, in una nota via del centro di Roma, "per ricevere denaro di provenienza illecita, occultarlo e smistarlo, avvalendosi in un caso anche della collaborazione del parlamentare, che lo ha attivamente coadiuvato nelle attività di illecita intermediazione".

In manette anche due dipendenti dell'Agenzia delle Entrate - Le indagini sono partite da segnalazioni per operazioni sospette nei confronti di un consulente tributario romano e di un labirinto di società a lui riferibili che movimentavano grandi somme di denaro tra i conti correnti personali ed aziendali. La struttura imprenditoriale illecita avrebbe movimentato oltre dieci milioni di euro giustificati da fatture false a scopo di evasione e per costituire riserve nascoste al fisco da usare attraverso una galassia di società gestite da prestanome. Per "ammorbidire" eventuali controlli fiscali e agevolare le pratiche di rimborso delle imposte, il consulente si avvaleva anche di due dipendenti infedeli dell'Agenzia delle Entrate di Roma, finiti in manette.