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"Combatto Assad e mi chiamano prostituta
Ho perso amici ma ora il silenzio non c'è più"

A Tgcom24.it parla Aya Homsi, blogger italo-siriana tra minacce e speranze: "Dicono che morirò presto ma è giusto che in Italia si sappia cosa fanno a Damasco"

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Ha 25 anni e si definisce un'attivista a tempo pieno.

È Aya Homsi la blogger italo-siriana più conosciuta in Italia. Nata e cresciuta a Bologna da genitori di Aleppo sta frequentando il terzo anno di scienze della formazione. E tra un corso e l'altro ha scelto di dedicare il suo tempo a combattere la dittatura di Bashar al Assad, il presidente siriano che, secondo stime dell'Onu, ha causato la morte di più di 9mila persone. Oggi ha deciso di raccontarsi a Tgcom24.

In cosa consiste il suo lavoro da dissidente?


"Sono la coordinatrice di Vogliamo la Siria libera, un gruppo nato su Facebook che monitora giorno dopo giorno la situazione della rivolta. Insieme ad altri quattro ragazzi traduciamo dall'arabo video e articoli postati in rete dagli attivisti di Damasco, Homs, Hama, Aleppo e Lattakia. Di giorno preparo gli esami e di notte coordino i lavori del gruppo. Siamo in contatto continuo con le attiviste siriane che ci aggiornano via chat. Il gruppo è nato proprio grazie a queste informazioni di prima mano un mese dopo lo scoppio della rivolta e oggi conta più di 4mila follower. All'inizio è stata dura. I siriani che invitavo a protestare si rifiutavano. Avevano paura del mukhabarat, i servizi segreti che ruotano attorno ai consolati siriani e alle ambasciate. Monitorano la rete in cerca di commenti negativi sul presidente o sulla sua famiglia. Appena li trovano scattano le intimidazioni".


Qual è stata la molla per rompere il muro del silenzio su ciò che accadeva in Siria?


"Siamo stati noi giovani ventenni a trascinare in piazza i più vecchi. Quelli della mia generazione nati lontano dalla Siria non sanno cosa significhi vedere arrestare un parente in casa propria solo perché accusato di aver parlato male del raiis. I nostri genitori però lo ricordano bene e hanno cercato di fermare le nostre proteste. Volevano proteggerci ma noi siamo nati in un paese libero e non possiamo più tacere di fronte a quello che accade nella nostra terra d'origine."


Riceve continue minacce e il suo telefono è controllato dalla Digos. Il prezzo della protesta è alto anche lontano dalla Siria?


"Ogni giorno ricevo telefonate, mail e messaggi minatori dai sostenitori di Assad in Italia. Mi chiamano ratto, prostituta dell'America e dicono che morirò presto. Hanno minacciato di fare del male ai parenti di membri del nostro gruppo rimasti in Siria. La situazione è ogni giorno più pesante anche se non è paragonabile a quello che devono sopportare i miei amici rimasti in Siria. A Homs i ragazzi devono stare attenti anche a camminare per strada perché sui tetti è pieno di cecchini."


La protesta dei siriani all'estero non riesce a influenzare in modo decisivo la politica di Damasco. È l'ora di rassegnarsi?


"Certo non saremo noi siriani d'Italia a convincere  Bashar al Assad a dimettersi. Il nostro obiettivo è tenere alta l'attenzione sulla Siria. Per i dissidenti siriani che rischiano la vita è importante sapere che all'estero c'è qualcuno che li sostiene. Della Siria non si deve parlare solo quando muore un giornalista straniero. E' giusto che tutti sappiano che ogni giorno il regime causa la morte in media di 100 persone."


Cosa le manca della Siria?


"Mi manca Aleppo. Ogni anno passavo tre mesi ad Halab Jadida, la parte nuova della città. Mi manca vedere gli alberi di Natale vicino alle moschee, un mix di religioni e etnie che è sempre stata la forza del mio paese. Per ricordarmi quell'atmosfera ascolto canzoni dei cantanti siriani e ripenso al rumore dei suq e al profumo del sapone prodotto nella mia città."



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