La corte d'Appello di Torino ha inasprito la pena già inflitta in primo grado. Il legale: "Lo hanno punito solo perché si chiama Corona"
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Cinque anni per estorsione e utilizzo illegittimo di dati, interdizione perpetua dai pubblici uffici: è la pena inflitta dalla Corte d'appello di Torino a Fabrizio Corona, accusato di aver chiesto e ottenuto 25mila euro (mai restituiti) all'ex giocatore della Juve David Trezeguet. Negli scatti l'attaccante era ripreso all'ingresso e all'uscita della casa di una ragazza a Milano. I giudici hanno aumentato la pena - tre anni e 4 mesi - di primo grado.
I giudici hanno fatto propria la sentenza della Corte di Cassazione del 20 ottobre scorso, che ha sancito, per un caso analogo riguardante lo stesso Corona (in questo caso con il calciatore Adriano e con il motociclista Marco Melandri), il principio secondo il quale le fotografie scattate all'insaputa degli interessati possono essere usate dagli organi di informazione se sono di interesse pubblico ma, in caso contrario, non possono essere vendute nè archiviate facendo pressione sui soggetti fotografati.
La scappatella di Trezeguet
I fatti risalgono al maggio 2009. Dopo una partita vinta con la Juventus, Trezeguet si recò a Milano per festeggiare in alcuni locali. Qui avvicinò una ragazza e la seguì a casa sua, ignaro di essere seguito da uno dei fotografi dell'agenzia di Corona, che gli scattò 25 immagini all'entrata dell'appartamento e altre 21 all'uscita, la mattina successiva. Fu poi Fabrizio Corona a contattare il calciatore chiedendo e ottenendo 25mila euro per evitare la diffusione delle fotografie.
Il legale: "Condannato solo perché è Corona"
Nella requisitoria il Procuratore generale di Torino, Vittorio Corsi, ha sostenuto che non è possibile considerare le attenuanti prevalenti sulle aggravanti, dato che si trattava di un caso di recidiva. Per Giuseppe Lucibello, legale di Corona, invece, l'inasprimento della pena è avvenuto "Solo perché l'imputato si chiama Fabrizio Corona. Ritengo - ha concluso - che la decisione della Corte d'appello di Torino di far propria l'impostazione della Cassazione possa creare problemi ai direttori di numerosi organi di informazione".