Quasi 4 milioni di lavoratori agili nel 2025: il fenomeno si consolida nelle grandi aziende mentre le PMI fanno marcia indietro. Tra risparmio sui trasporti e bollette più care, ecco come sta cambiando il lavoro
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Lo smart working in Italia non è più un'emergenza ma una realtà strutturale. I numeri dell'Osservatorio del Politecnico di Milano lo confermano: entro fine 2025 i lavoratori agili saranno 3,75 milioni, con un aumento del 5%. Sembra poco, ma se si pensa che nel 2017 erano appena 250mila, la trasformazione è evidente. Il punto è capire dove e perché sta crescendo.
Il fenomeno mostra una netta divisione. Nelle grandi aziende lo smart working decolla: quasi 2 milioni di dipendenti coinvolti nell'ultimo anno. Ma nelle piccole e medie imprese succede l'opposto: si passa da 570mila a 520mila lavoratori agili. Come mai?
Le grandi imprese hanno investito in tecnologia, riorganizzato gli spazi (il 78% ha introdotto postazioni prenotabili) e soprattutto hanno scoperto il risparmio: i costi si riducono dal 30% al 50%, con tagli su affitti, utenze, pulizie, mense. Nelle PMI invece prevale la cultura del controllo e mancano risorse per gestire il cambiamento organizzativo che lo smart working richiede. Risultato: chi può permetterselo lavora da casa nove giorni al mese nelle grandi aziende, sette nella PA, 6,6 nelle PMI. E il 35% delle grandi imprese vuole mantenere questa modalità anche in futuro.
Come ricorda "La Stampa", nel 2019 eravamo il fanalino di coda in Europa: solo il 3,6% dei dipendenti italiani lavorava da remoto, contro il 6% della media europea e il 14% di Paesi Bassi e Finlandia. Poi la pandemia ha costretto oltre 6,5 milioni di persone a casa. Molti pensavano fosse temporaneo, invece l'Istat certifica che il 12% degli occupati lavora stabilmente da casa. È diventato un fattore strutturale. Il dato interessante è che dopo il ritorno forzato in presenza del 2024, nel 2025 si ricresce. Segno che aziende e lavoratori hanno trovato un equilibrio che funziona.
La differenza è cruciale. Il telelavoro è rigido: postazione fissa, orari da rispettare, costi a carico dell'azienda. Lo smart working invece è flessibile: decidi tu dove e quando lavorare, basta raggiungere gli obiettivi concordati. Per questo piace di più ai lavoratori ma richiede maggiore maturità organizzativa alle aziende.
Lavorare da casa costa. Altroconsumo ha calcolato che chi sta in smart working due giorni a settimana spende 150 euro in più all'anno tra luce e gas. Una coppia che lavora da casa tutta la settimana arriva a 365 euro. Ma c'è l'altra faccia della medaglia: risparmi 900 euro sui trasporti e recuperi 80 ore di vita all'anno. Per molti, soprattutto pendolari delle grandi città, il bilancio resta positivo. Le aziende invece guadagnano sempre: tra 500 e 2.500 euro di risparmio per dipendente all'anno, più un aumento di produttività del 15-20% e meno assenze.
Il 73% dei lavoratori agili si opporrebbe se l'azienda eliminasse questa possibilità. Quasi un terzo cambierebbe lavoro. Non è solo questione di comodità: è diventato un elemento di scelta. I Millennials e soprattutto la Gen Z considerano la flessibilità un criterio fondamentale per accettare un'offerta. Le aziende che richiamano tutti in presenza rischiano di perdere talenti.
Lo smart working non è un diritto automatico: serve sempre un accordo scritto tra azienda e dipendente. L'eccezione riguarda i disabili, per i quali la Cassazione ha stabilito che lo smart working può essere un "ragionevole accomodamento". Rifiutarlo senza motivo diventa discriminazione. L'accordo prevede una clausola di recesso: 30 giorni di preavviso, che diventano 90 per lavoratori vulnerabili. Ma in caso di gravi motivi organizzativi o mancato rispetto degli obiettivi si può recedere anche senza preavviso.
Qui le regole sono confuse. Se il ticket restaurant è previsto nel contratto va riconosciuto. Se è un benefit autonomo dell'azienda, può essere tolto. La logica è che il buono pasto non è parte della retribuzione ma è legato all'organizzazione dell'orario. Il tribunale di Venezia ha chiarito che con lo smart working viene meno il nesso, quindi niente ticket.
Dal 12 gennaio nuove regole di comunicazione al Ministero del Lavoro: nel privato cinque giorni dall'accordo, nel pubblico entro il ventesimo del mese. La PA deve garantire equilibrio tra presenza e remoto. La vera novità è lo sgravio contributivo totale per chi assume under 41 in smart working nei piccoli comuni montani sotto i 5mila abitanti. Partirà nel 2026 per combattere lo spopolamento: 100% di sgravio per due anni (fino a 8mila euro), poi percentuali decrescenti.
Attenzione ai rimborsi spese. Se l'azienda rimborsa i costi reali e documentati (energia, acqua) su parametri oggettivi giornalieri, non sono tassabili. Ma se il rimborso è forfettario (tipo "ti do il 30% delle bollette"), diventa imponibile. Meglio chiarirlo nell'accordo. Per le aziende sono deducibili i costi di connessione internet e abbonamenti dati forniti al dipendente.
Il trend è chiaro: lo smart working è qui per restare, ma in modo diseguale. Le grandi aziende lo usano come leva competitiva per attrarre talenti e ridurre costi. Le PMI faticano a tenere il passo. La PA cerca un equilibrio tra flessibilità ed efficienza del servizio pubblico.
In Parlamento c'è una proposta di legge per aggiornare le norme del 2017: diritto allo smart working se le mansioni lo consentono, diritto alla disconnessione con sanzioni, maggiore ruolo dei sindacati. E un fondo da 100 milioni per promuovere il lavoro agile. Il vero cambiamento culturale però deve ancora arrivare: passare dalla logica del controllo a quella degli obiettivi. Chi ci riuscirà avrà dipendenti più produttivi e soddisfatti. Chi resta ancorato alla presenza fisica rischia di perdere competitività.