Il manager lucano ha trasformato il Monte dei Paschi di Siena da banca salvata dallo Stato a protagonista della scalata più clamorosa della finanza italiana
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Luigi Lovaglio è l'uomo che ha realizzato l'impossibile: trasformare il Monte dei Paschi di Siena, banca fallita e salvata dallo Stato, nel protagonista della più clamorosa scalata della finanza italiana degli ultimi decenni. Con l'acquisizione di Mediobanca per 13,5 miliardi di euro, il manager lucano ha espugnato Piazzetta Cuccia, quel tempio della finanza considerato off limits per le banche commerciali. Un'operazione che ha rivoluzionato gli equilibri del sistema creditizio nazionale, dimostrando come una strategia vincente possa ribaltare anche le gerarchie più consolidate del capitalismo italiano. Ecco il ritratto del banchiere che ha cambiato la storia delle banche italiane.
Lovaglio nasce il 4 agosto 1955 a Potenza, in Basilicata. Da piccolo si trasferisce con la famiglia a Bologna: qui, in Emilia-Romagna, apprende le basi del mestiere e finisce per laurearsi in Economia e commercio all'Università felsinea. Il futuro manager muove i primi passi nel mondo bancario nel 1973, al Credito Italiano, tra le prime banche d'interesse nazionale a essere privatizzate.
Nell'arco di un ventennio Lovaglio ricopre ruoli di crescente responsabilità, arrivando a guidare diverse aree geografiche di business commerciale in Italia. Nel 1997 diventa capo del dipartimento Strategia e pianificazione di gruppo, partecipando al processo di fusioni delle banche neoacquisite; processo, per intenderci, che ha cambiato il profilo bancario italiano dando origine all'attuale Gruppo Unicredit. Nel 1999 viene nominato capo della Pianificazione di gruppo Banche estere: un ruolo improntato allo sviluppo del Gruppo Unicredit in Europa centrale e orientale, che inizia con l'acquisizione di Bank Pekao in Polonia.
Il 2000 è un anno spartiacque per Lovaglio, che varca i confini italiani e si accasa a Bulbank, la più grande banca bulgara, come vicepresidente del management board e direttore esecutivo, sempre sotto l'ala del Gruppo Unicredit. Questa prima "avventura" estera lo porta a compiere un piccolo (ma decisivo) passo per la sua carriera, che lo porterà prima in Polonia e poi di nuovo in Italia, acquisendo fama di banchiere di grande esperienza internazionale.
Nel 2003 la seconda sliding door: il "baffo di ferro" assume il ruolo di direttore generale e vicepresidente di Bank Pekao. Qui, in Polonia, resta per ben 14 anni, un importante pezzo di vita che lo consacra in modo definitivo tra i "grandi" del settore bancario: in veste di Ceo, il manager rafforza la solidità patrimoniale di Pekao e la porta a consacrarsi prima società del Paese in termini di capitalizzazione di mercato. Ricordiamo qualche dato: sotto Lovaglio, l'istituto polacco arriva a produrre oltre 3 miliardi di euro di utili per il Gruppo Unicredit, a crescere fino a 18mila dipendenti e a vantare una capitalizzazione di Borsa di 12 miliardi di euro. La sua focalizzazione su ritorni sostenibili di lungo periodo e sugli aspetti etici porta alla decisione di non offrire i mutui ipotecari in franchi svizzeri ai clienti retail; decisione che evita a Pekao una serie di guai che avrebbero coinvolto il resto del sistema bancario polacco.
Come ricorda il Corriere di Siena, l'esperienza a Varsavia è servita al "baffo di ferro" anche per affinare le proprie capacità relazionali. Per rafforzare i rapporti con il governo polacco, organizza una partitella di calcio tra la "squadra" della banca e quella dell'esecutivo. In campo, oltre a Lovaglio, c'è nientemeno che Donald Tusk, il primo ministro. "Prima di entrare in campo ho detto ai miei: 'State almeno a due metri dal presidente, non voglio incidenti diplomatici per un fallo'. Naturalmente l'ordine è stato preso alla lettera e la partita è finita 12 a 2 per i polacchi", ha ricordato il manager. Che nel 2008 - forse anche grazie a quella partitella - viene insignito del titolo di Commendatore dell'Ordine della Stella della Solidarietà italiana, come riconoscimento del suo contributo allo sviluppo della cooperazione economica tra Polonia e Italia.
Arriviamo ora al terzo spartiacque nella vita di Lovaglio. Quando l'allora Ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier vende Pekao nel 2017, il "baffo di ferro" lascia il Gruppo. Ha 62 anni, potrebbe anche abbandonare il mondo bancario e ritirarsi a vita privata. E invece decide di accettare la chiamata del Credito Valtellinese, che naviga in acque agitate e ha bisogno di un risanamento. Rientra dunque in Italia - precisamente a Tresivio, un paesino di 2mila anime in provincia di Sondrio, dove la banca ha il proprio Centro di formazione - e da Ceo raddrizza la barca, al punto da portarla nel portafoglio di Crédit Agricole Italia.
Un colpo da campione - lui che sognava di diventare allenatore - che non passa inosservato a Roma. E infatti, nel 2022, arriva la "convocazione" dal Monte dei Paschi di Siena. Anzi, per meglio dire, dal governo italiano guidato da Mario Draghi, che tramite il ministero dell'Economia e delle Finanze controllava all'epoca il 64,23% della banca. La partecipazione statale, lo ricordiamo, è diminuita nel corso del tempo attraverso la vendita di azioni, con il Mef che si è progressivamente disimpegnato dal controllo di Mps: oggi è all'11,7%.
Per risollevare Mps, il Ceo Lovaglio prepara un nuovo piano industriale (per il periodo 2022-2026) e lancia un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro, approvato dalla Banca centrale europea. Una manovra che, da salvataggio quasi disperato, diventa una mossa di grande interesse per gli investitori finanziari. Il piano di uscita volontaria dalla banca di 4mila dipendenti, orchestrato durante il suo primo anno di gestione, fa il resto: costi radicalmente ridotti e primo semestre 2023 chiuso con un utile superiore ai 600 milioni di euro, solidità patrimoniale in crescita e istituto ben attrezzato per affrontare gli stress test degli scenari futuri.
Lovaglio però non si accontenta, e da "banchiere delle emergenze" vuole ora diventare "banchiere d'assalto". E così a gennaio 2025 lancia un'Ops (Offerta pubblica di scambio) su Mediobanca da 13 miliardi di euro, con l'obiettivo di creare un terzo polo creditizio nazionale con Mps motore trainante. Un progetto di integrazione tra una banca commerciale e una banca di investimento specialistica contro cui il management di Piazzetta Cuccia tenta fino all'ultimo di difendersi, ma al quale il mercato alla fine dà credito.
L'offerta chiude al 62,29% del capitale, superando ampiamente la soglia del 50% necessaria per avere la maggioranza assoluta dell'assemblea e quindi il controllo di diritto di Mediobanca. Con il pagamento del corrispettivo dell'offerta, l'istituto guidato da Alberto Nagel diventa a tutti gli effetti una controllata del Monte, catapultato nella plancia di comando delle Generali. "Il mercato ha dato un chiaro sostegno al nostro progetto apprezzando la forte logica industriale e la creazione di valore per gli azionisti e tutti gli stakeholder, oltre che per il sistema Paese", dice Lovaglio all'Ansa. Si tratta di "un progetto di crescita che si fonda sull'unione di due eccellenze italiane e due brand straordinari che condividono una profonda e diffusa cultura del cliente" e da cui nascerà "una nuova forza competitiva altamente diversificata e resiliente, tra i leader nel settore bancario", aggiunge.