i conti della difesa

La corsa al riarmo: dal 2% al 5% del Pil, quanto costerà all'Italia la nuova Nato

L'Alleanza atlantica alza l'asticella delle spese militari al 5% entro il 2035. Per l'Italia significa passare da 34 a oltre cento miliardi annui, con possibili tagli a sanità e welfare

di Giuliana Grimaldi
24 Giu 2025 - 11:15
 © Istockphoto

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La guerra è tornata alle porte di casa e il mondo si prepara al peggio come non accadeva dai tempi della Guerra Fredda. In attesa di capire se la tregua annunciata da Trump tra Israele e Iran reggerà, l'accordo raggiunto dalla Nato per portare le spese militari al 5% del Pil entro il 2035 cambierà la vita di milioni di europei: per le armi non più solo il 2% concordato nel 2014, ma un salto che stravolgerà i bilanci delle famiglie e costringerà i governi a scelte dolorose. Mentre i venti di guerra soffiano dal Medio Oriente, l'Ucraina continua a resistere e la Cina guarda a Taiwan, il mondo sta accelerando una corsa agli armamenti che toccherà il portafoglio di tutti.

Cosa intendiamo quando parliamo di "spese per la difesa"

 Prima di addentrarsi nei numeri, è importante capire cosa rientra nelle spese militari secondo i parametri Nato. Non si tratta solo di carri armati e missili. Il nuovo target del 5% sarà suddiviso in 3,5% per la spesa militare classica (truppe, equipaggiamenti, munizioni) e 1,5% per investimenti in sicurezza allargata: cyber-difesa, tecnologie a doppio uso civile e militare, resilienza della società contro attacchi ibridi.

Nel calcolo rientrano stipendi e pensioni del personale militare, ricerca e sviluppo nel settore difesa, infrastrutture militari, operazioni di peacekeeping e persino alcune spese della Guardia Costiera e della Protezione Civile. Un approccio olistico alla sicurezza che riflette le nuove minacce del ventunesimo secolo.

Il mondo in armi: i numeri del riarmo globale

 I dati del Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) evidenziano la portata del fenomeno: nel 2024 la spesa militare mondiale ha raggiunto i 2.718 miliardi di dollari, con un aumento del 9,4% rispetto al 2023. È l'incremento più forte dalla fine della Guerra Fredda, il decimo anno consecutivo di crescita che ha portato la spesa globale al 2,5% del Pil mondiale.

Tutti i continenti hanno aumentato le proprie spese militari. Gli Stati Uniti guidano la classifica con 997 miliardi di dollari (37% del totale mondiale), seguiti da Cina (314 miliardi), Russia (149 miliardi), Germania (88,5 miliardi) e India (86,1 miliardi). Insieme, questi cinque paesi rappresentano il 60% della spesa militare globale.

L'Europa ha registrato la crescita più impressionante: +17% nel 2024, raggiungendo i 693 miliardi di dollari. Tutti i paesi europei tranne Malta hanno aumentato le proprie spese. La Germania ha fatto il salto più spettacolare con +28%, diventando il quarto paese al mondo per spesa militare. La Polonia ha aumentato del 31%, raggiungendo il 4,2% del Pil, mentre la Francia punta a trasformare la sua industria degli armamenti in una "economia di guerra".

La spesa dell'Italia: dal 2% di oggi al 5% richiesto dalla Nato

 L'Italia occupa il quattordicesimo posto mondiale per spesa militare con 33,4 miliardi di euro nel 2024, pari all'1,6% del Pil. Questa cifra, calcolata secondo la metodologia internazionale del Stockholm International Peace Research Institute, include non solo il bilancio del Ministero della Difesa (circa 29 miliardi), ma anche le spese militari distribuite in altri dicasteri: fondi del Mimit per l'industria degli armamenti, risorse del Mef per le missioni all'estero, quote della Guardia Costiera e della Protezione Civile, oltre ai costi per basi militari e partecipazioni Nato e Ue.

Secondo il Burdensharing Index elaborato dalla Rand Corporation per il Pentagono, l'Italia è il terzo contributore assoluto tra tutti gli alleati Nato con un valore pari a 4,75. Solo Stati Uniti e Giappone si collocano più in alto. Ancora più significativo è il Burdensharing Ratio: l'Italia registra un valore di 1,12, superiore all'unità, il che significa che il paese sta già contribuendo alla sicurezza Nato oltre le proprie possibilità economiche.

Il governo Meloni è riuscito quest'anno a raggiungere il target Nato del 2% attraverso un "ricalcolo contabile": senza aumentare realmente gli investimenti, ha incluso nel bilancio della difesa voci precedentemente conteggiate altrove, come le pensioni militari dell'Inps e alcune spese della Guardia Costiera.

Ma ora arriva la vera sfida. Per raggiungere il 5% del Pil entro il 2035, l'Italia dovrà praticamente triplicare la propria spesa militare. Secondo l'Osservatorio Mil€x, questo significa arrivare a spendere, nell'anno 2035, 145 miliardi di euro, 100 miliardi in più degli attuali 33,4. Il cammino verso questo obiettivo comporterebbe una spesa militare decennale superiore di almeno 400 miliardi a quella che ci sarebbe mantenendo fermo il parametro del 2%.

Il conto salato per gli italiani

 Tradotto in termini concreti, raggiungere il 5% comporterebbe per l'Italia un costo aggiuntivo di circa 40 miliardi di euro all'anno rispetto alla proiezione con il livello attuale del 2%. Appunto 400 miliardi di differenziale in dieci anni, una cifra che supera l'intero Pil di paesi come il Belgio o l'Irlanda.

In termini pro capite, ogni italiano dovrebbe contribuire con circa 650 euro in più all'anno per la difesa. Per una famiglia di quattro persone si tratterebbe di oltre 2.600 euro annui aggiuntivi, che si tradurrebbero inevitabilmente in maggiori tasse o tagli ad altre voci di spesa pubblica.

Le conseguenze sui servizi pubblici potrebbero essere forti. I 40 miliardi annui aggiuntivi equivalgono al budget combinato di diversi ministeri: più di quanto l'Italia spende oggi per l'università e la ricerca, quasi quanto destina all'istruzione o pari all'intero fondo sanitario nazionale di alcune regioni del Sud. Per avere un altro ordine di grandezza: l'ultima Legge di Bilancio valeva 30 miliardi di euro.

I tagli all'orizzonte

Come sta già succedendo negli altri paesi europei, il riarmo imporrà scelte dolorose. Il Regno Unito ha già tagliato gli aiuti allo sviluppo dallo 0,5% allo 0,3% del Pil. La Germania ha creato un'eccezione costituzionale al freno del debito per finanziare le spese militari. La Francia sta attingendo ai risparmi privati, mentre l'Estonia ha fatto esplodere il deficit di bilancio.

L'Italia dovrà scegliere tra tre strade: aumentare significativamente le tasse, tagliare la spesa sociale e i servizi pubblici, o far aumentare il debito pubblico già oltre il 137% del Pil. Ogni opzione ha conseguenze pesanti sull'economia e sulla società. Come ha fatto intendere il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti in una recente riunione dell'Eurogruppo, "accettare l'invito ad aumentare la spesa per la difesa impedirebbe per sempre la nostra uscita dalla procedura d'infrazione".

Gli esperti del Sipri avvertono che "dedicare risorse crescenti alla sicurezza militare, spesso a scapito di altre aree di bilancio, potrebbe avere effetti significativi sulle società negli anni a venire". I tagli a sanità, istruzione e welfare rischiano di aumentare le disuguaglianze e minare la coesione sociale proprio mentre si investe per difendere la democrazia.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, a margine del Consiglio Affari Esteri a Bruxelles, ha assicurato che l'Italia "potrà raggiungere l'obiettivo" del 5%, beneficiando sia del prolungamento dei termini al 2035 sia della flessibilità ottenuta dalla Spagna. Ma i conti sono implacabili: senza una rivoluzione nelle priorità di spesa pubblica o un miracolo economico, il riarmo richiesto dalla nuova Nato avrà un prezzo sociale molto alto. La corsa al riarmo è iniziata. Ora bisogna decidere chi pagherà il conto.

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