L’ultima offensiva ucraina ha svelato l’evoluzione tecnologica del conflitto: milioni di velivoli senza piloti costruiti e impiegati per attacchi mirati, stampanti 3D e innovazione militare stanno ridisegnando il campo di battaglia
di Giuliana GrimaldiMentre la diplomazia lavora a Istanbul, le armi non tacciono, anzi. L’attacco sferrato il 1° giugno dall'Ucraina contro quattro basi militari russe ha dimostrato ancora una volta che la guerra tra Mosca e Kiev si gioca sempre più nei cieli. Secondo l’intelligence ucraina 41 bombardieri russi sono stati distrutti, pari al 34% dei vettori strategici, per un danno economico stimato di 7 miliardi di dollari.
L’operazione "Ragnatela", preparata in 18 mesi nel segreto più totale (pare che nemmeno la Casa Bianca fosse stata informata), ha visto l’impiego di una flotta di appena 117 droni FPV (nascosti in casette prefabbricate di legno), capaci di colpire obiettivi a oltre 4mila chilometri dal fronte ufficiale, come la base di Belaya, nell'oblast russo di Irkutsk.
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A fronte di poche centinaia di dollari per ciascun drone ucraino, la Federazione russa ha perso aerei dal valore unitario di circa 350 milioni: un’asimmetria che evidenzia come i droni non siano più semplici strumenti tattici, ma veri asset strategici capaci di ribaltare gli equilibri del conflitto.
Immediata la reazione da parte del Cremlino: poche ore dopo l'azione dei 117 droni ucraini, la Russia ha lanciato il più massiccio attacco con droni dall’inizio della guerra, scatenando 472 UAV e 7 missili contro obiettivi ucraini, nel tentativo di saturare le difese aeree di Kiev e ristabilire un equilibrio strategico.
I droni – noti appunto come UAV cioè Unmanned Aerial Vehicle, veicoli aerei senza pilota – sono diventati strumenti chiave nella guerra moderna, specialmente nei conflitti ibridi come quello tra Russia e Ucraina, che sta vedendo la combinazione sempre più frequente di mezzi e operazioni militari convenzionali (eserciti, missili, carri armati) e irregolari (sabotaggi, guerriglia, cyberattacchi, disinformazione, uso di droni low cost).
Originariamente concepiti per la sorveglianza, i droni si sono rapidamente evoluti in vere e proprie armi d’offesa, grazie alla loro versatilità, economicità e facilità di impiego. Possono volare a bassa quota, sfuggire ai radar e colpire con precisione obiettivi mobili o fissi, spesso in modalità kamikaze. I più diffusi nel conflitto sono i droni FPV (First Person View), guidati in tempo reale da operatori tramite telecamere integrate, capaci di manovre estremamente precise anche in ambienti urbani o complessi.
Altri modelli vengono impiegati per disturbare le comunicazioni, effettuare ricognizioni o trasportare carichi esplosivi. La combinazione di costo contenuto e impatto devastante li ha trasformati nelle armi non convenzionali più efficaci del conflitto in corso.
Nel 2024 l’Ucraina ha prodotto 2,2 milioni di droni, tra cui oltre 1,5 milioni di FPV nei primi mesi, e nel 2025 punta a raggiungere la quota record di 4,5 milioni di unità. Secondo il ministro dell’Industria strategica Oleksandr Kamyshin, il Paese vuole diventare "un polo mondiale dei droni", con effetti anche post-bellici.
Il governo di Zelensky ha addirittura varato un hub specifico, "Brave1", per accelerare lo sviluppo di soluzioni innovative nel settore della difesa. Si tratta di una piattaforma che mette in rete startup, industrie, investitori, forze armate e istituzioni, con l’obiettivo di trasformare le idee più promettenti in strumenti concreti per il fronte. A oggi, Brave1 ha finanziato 135 progetti con un totale di 39 milioni di dollari, stimolando una nuova generazione di tecnologie militari. In parallelo, gli investimenti privati sono cresciuti da 5 a 50 milioni di dollari in un solo anno. Il Paese conta ora oltre 500 aziende coinvolte nella filiera e più di 300mila lavoratori impiegati. Ogni mese si costruiscono 2mila droni a lungo raggio, come i modelli Liutyi e Peklo, in grado di colpire obiettivi fino a 1.700 chilometri di distanza. Il risultato è una rete industriale flessibile, decentralizzata e adattabile al ritmo del conflitto.
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Mosca, dal canto suo, non è rimasta a guardare. Nel 2025 punta a produrre tra 3 e 4 milioni di droni, focalizzandosi su vari modelli di drone, dai UAV kamikaze a modelli a basso costo di derivazione iraniana. La Russia ha dimostrato una capacità crescente di attacco su larga scala: lo scorso 26 maggio, ha sferrato un raid con 355 droni e 9 missili da crociera, il più grande dall’inizio del conflitto. Secondo le autorità ucraine, 288 UAV sono stati abbattuti.
Una componente strategica è rappresentata dai droni esca (decoy), dotati di lenti Luneburg per simulare bersagli reali sui radar e costringere Kyiv a sprecare munizioni. Alcuni trasmettono immagini in tempo reale, permettendo di localizzare le difese ucraine.
Parallelamente, sono entrati in uso droni con testate termobariche, capaci di provocare esplosioni ad altissima pressione e temperatura, efficaci contro bunker e infrastrutture. Nella zona speciale di Elabuga, nel Tatarstan, si producono ogni giorno circa 40 droni-esca e 10 droni armati.
Nonostante le sanzioni, il Cremlino mantiene attive le sue linee di approvvigionamento, grazie a fornitori cinesi e reti parallele in Asia centrale e Medio Oriente. La strategia russa punta a sopraffare le difese nemiche combinando quantità, inganno e potenza distruttiva.
In parallelo alla corsa ai droni, si è aperto un secondo fronte tecnologico: quello delle stampanti 3D. In Ucraina vengono impiegate per produrre parti di droni, supporti per granate, lanciatori, caricatori e accessori su misura. Questa capacità consente una produzione rapida, economica e decentralizzata, anche vicino al fronte.
Come documentato dalla rivista "Wired", numerose officine mobili, spesso improvvisate in garage, scantinati e uffici lavorano ogni giorno alla stampa di componenti essenziali per le operazioni militari. Il vantaggio non è solo economico, ma anche operativo: l’autonomia produttiva permette di rispondere in tempo reale alle esigenze delle truppe, aggirando la burocrazia e le carenze logistiche. Le stampanti 3D non rappresentano solo un supporto, ma una vera leva strategica, che consente di trasformare rapidamente un’idea in un’arma, e permette anche ai civili di collaborare al conflitto senza nemmeno recarsi al fronte.
Il conflitto tra Russia e Ucraina ha trasformato il modo in cui si concepisce e si combatte una guerra. La supremazia non si misura più solo in carri armati o divisioni, ma nella capacità di innovare, produrre e adattarsi tecnologicamente. I droni e le stampanti 3D non sono solo simboli della guerra ibrida, ma strumenti centrali nella contesa per il controllo del cielo e, con esso, del futuro del conflitto. Chi vincerà questa corsa alla tecnologia avrà in mano non solo il presente, ma anche l’equilibrio geopolitico dei prossimi decenni.