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"I me ciamava per nome: 44.787", il teatro-documento per non dimenticare gli orrori della Shoah

Al Piccolo per la Giornata della Memoria e dal 28 gennaio al 2 febbraio al Teatro della Cooperativa lo spettacolo sulla Risiera di San Sabba, vicino a Trieste, dove vennero internati migliaia di italiani

Ufficio stampa

La Risiera di San Sabba a Trieste è stato l'unico lager nazista in Italia munito di forno crematorio (ci furono da tremila a cinquemila vittime). In occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, al Piccolo Teatro Grassi va in scena "I me ciamava per nome: 44.787 – Risiera di San Sabba", spettacolo firmato e diretto da Renato Sarti e nato dalle testimonianze raccolte da storici dell’IRSREC FVG (Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea del Friuli Venezia Giulia). Lo spettacolo sarà poi in scena al Teatro della Cooperativa dal 28 gennaio al 2 febbraio.

"Credo che ogni persona dovrebbe sapere e non dimenticare" afferma uno dei sopravvissuti. Come spiega il regista Renato Sarti: "Questa frase l’abbiamo fatta nostra nella speranza che, in nome dei valori che ispirarono la Resistenza e la lotta di Liberazione, la memoria storica di quel passato possa fare da argine, oggi, a nuovi e pericolosissimi fenomeni nazionalistici, razzisti, fascisti e xenofobi". 

 

Lo spettacolo è un esempio di “teatro-documento”, come recitava la motivazione del Premio Riccione per il Teatro 1995. Testimonianza, racconto, memoria e monito per il futuro. Nasce da una lettura scenica tenutasi nel 1995, con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, all’interno della Risiera di San Sabba.

 

"Quando gli storici triestini Marco Coslovich e Silva Bon dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia mi misero a disposizione le testimonianze dei sopravvissuti e le deposizioni dei carnefici (criminali nazisti responsabili fra l’altro dell’Aktion Reinhard, l’eliminazione di circa due milioni di ebrei in Polonia) mi sono immediatamente reso conto di avere fra le mani un patrimonio storico, sociale, politico e umano straordinario", racconta Sarti. 

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