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Caso Regeni, primo vertice a Roma tra inquirenti italiani ed egiziani

Massimo riserbo in Procura: gli inquirenti italiani renderanno noti i risultati dellʼincontro soltanto a fine lavori. Nessun contatto degli egiziani con la famiglia

E' durato cinque ore il primo incontro a Roma tra gli inquirenti egiziani e quelli italiani per cercare di fare luce sull'omicidio di Giulio Regeni.

Vi hanno partecipato due magistrati e quattro dirigenti di polizia e servizi egiziani, oltre al procuratore Giuseppe Pignatone, al suo sostituto Sergio Colaiocco e agli investigatori di Ros e Sco.  Massimo riserbo tra gli inquirenti italiani dopo il summit.

Gli egiziani: nel dossier anche video e tabulati - I media egiziani garantiscono che nel dossier consegnato a Roma dagli inquirenti venuti da Il Cairo ci sono anche "le registrazioni delle videocamere di sorveglianza", un "registro delle chiamate del suo telefono portatile", il "rapporto di medicina legale sull'autopsia" e "le testimonianze di ufficiali e amici della vittima", come scrive il sito del quotidiano Al Masry Al Youm citando una "fonte giudiziaria".

Si tratta di un "dossier completo sul caso, contenente tutti i rapporti e le inchieste", premette il sito. Con implicito riferimento a sorella e moglie del capo della banda di rapinatori sgominata il mese scorso in uno scontro a fuoco che non ha lasciato superstiti, il giornale aggiunge che fra le carte ci sono anche "le confessioni degli accusati presso i quali sono stati ritrovati i suoi effetti personali". Nel dossier ci sono poi "le testimonianze delle vittime non-egiziane" della banda di rapinatori di stranieri.

Massimo riserbo tra gli italiani - In Procura a Roma non dicono nulla sul contenuto degli atti e i risultai del summit saranno resi noti soltanto venerdì, al termine dei lavori. Mentre la famiglia dice di "non aver avuto nessun contatto con gli inquirenti egiziani e nessuna notizia di una loro visita alla famiglia".

Il dossier arrivato dall'Egitto - Tremila pagine (ma fino a pochi giorni fa erano mille) e oltre duecento verbali di testimonianze, tutto in arabo. E' questo il dossier che la delegazione egiziana ha presentato ai nostri inquirenti. Pagine che potrebbero dunque contenere, secondo quanto dicono al Cairo, anche i tabulati telefonici legati all'utenza di Giulio e le registrazioni delle chiamate. Se quest'ultima ipotesi fosse confermata ci sarebbe la certezza che il nostro studente era stato messo sotto controllo dai servizi di intelligence egiziani.

Ed è quanto dicono anche gli anonimi che hanno scritto ai giornali italiani. Che hanno fatto nomi e cognomi, uno su tutti, quello di Khaled Shalaby, il generale a capo dei servizi centrali della polizia egiziana. Colui che avrebbe messo sotto osservazione Regeni. E il cui vice è stato mandato nella delegazione a incontrare i nostri pm.

I magistrati italiani hanno messo in dubbio le rivelazioni anonime chiedendosi come mai il corpo sia stato ritrovato: se Regeni fosse stato davvero ucciso dai servizi egiziani, questi avrebbero provveduto a far sparire il cadavere del giovane. Ma la replica della "gola profonda" non si è fatta attendere. Giulio doveva finire nel deserto ma qualcosa è andato storto.

Si legge infatti nelle pagine del quotidiano La Repubblica: "La notte in cui Giulio morì e il Presidente Al Sisi convocò una riunione con il suo gabinetto, i capi dei due Servizi, il ministro dell'Interno e la sua consigliera per la sicurezza nazionale, si decise, su suggerimento di quest'ultima, Fayza Abo Al Naga, che Giulio Regeni sarebbe dovuto finire in una buca nel deserto. Lo si doveva rendere irriconoscibile e quindi seppellirlo in un luogo dove sarebbe stato difficile trovarlo. Sapendo che, se mai questo fosse accaduto, si sarebbe potuto archiviare il ritrovamento come quello di un "ignoto"". Ma il caso Regeni era già esploso sui media e quindi è scattato il "piano alternativo": far ritrovare il cadavere sulla Alessandria-Cairo e simulare l'incidente.