Ingegneria promette compensi più alti, male le facoltà umanistiche. Il Nord offre l'8% in più, ma non tutti gli atenei sono uguali
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L'investimento nell'istruzione universitaria continua a "pagare", ma la scelta del corso può cambiare radicalmente il futuro economico. L'University Report 2025 dell'Osservatorio JobPricing che analizza oltre 550mila osservazioni retributive, certifica il dominio delle discipline Stem: 36.275 euro per un ingegnere chimico neolaureato contro 30.798 euro per chi studia storia e filosofia. Un divario che nel corso della carriera può arrivare al 76% in più per i laureati over 55.
Le prime cinque posizioni della classifica retributiva sono tutte ingegneristiche: chimica e materiali al vertice con 36.275 euro, seguite da nucleare (35.952 euro), meccanica (35.850 euro), gestionale (35.819 euro) e informatica (35.675 euro). Scienze economiche (35.218 euro) e matematiche (35.050 euro) completano il podio delle lauree che rendono di più, tutte sopra i 35mila euro annui per la fascia 25-34 anni.
Eppure in Italia solo il 29,4% dei giovani tra 25-34 anni possiede una laurea, 18 punti sotto la media europea. Un dato che penalizza la competitività del Paese in un mercato del lavoro sempre più orientato verso profili altamente specializzati.
All'opposto, le retribuzioni più basse riguardano proprio le facoltà umanistiche: scienze storiche e filosofiche (30.798 euro), dell'antichità (31.329 euro) e lingue (31.407 euro) registrano stipendi inferiori anche dell'8% rispetto alla media nazionale. Un gap che si traduce in oltre 5mila euro di differenza annua e che riflette un mercato del lavoro frammentato, spesso legato al settore pubblico o a occupazioni con retribuzioni iniziali più contenute.
Il fenomeno è amplificato dal mismatch tra domanda e offerta: secondo i dati Excelsior, nei prossimi anni il 64,9% della forza lavoro nella Pubblica Amministrazione sarà costituito da professioni a elevata specializzazione tecnica, mentre nel privato solo il 34,2% richiederà profili ad alta specializzazione.
Il territorio dove si consegue la laurea conta ancora tantissimo. Laurearsi al Nord vale l'8% in più rispetto al Sud (42.993 euro contro 39.688 euro) e il 4% rispetto al Centro (41.403 euro). Un divario che non riflette solo la maggiore presenza di aziende innovative settentrionali, ma anche la capacità di attrarre investimenti e talenti internazionali.
I privati garantiscono compensi superiori dell'8% rispetto agli statali (44.327 euro contro 41.062 euro), mentre i Politecnici dominano con un vantaggio del 14% (46.768 euro). L'Università Commerciale Luigi Bocconi si conferma al vertice con retribuzioni del 23% superiori alla media nazionale e tempi di recupero dell'investimento di 12,2 anni.
Sorprendono però alcune università meridionali: Napoli Federico II (+9% sulla media) e L'Aquila (+9%) superano molti atenei settentrionali, dimostrando che la qualità formativa può compensare il divario territoriale. Un segnale positivo per il riequilibrio del sistema universitario italiano.
L'analisi rivela anche un paradosso: gli atenei che garantiscono stipendi iniziali più alti non sempre offrono la crescita salariale maggiore nel tempo. Chi si laurea in università che partono da retribuzioni più contenute spesso registra incrementi superiori al 100% lungo l'arco della carriera, suggerendo percorsi professionali più dinamici.
Non è solo il titolo di studio a fare la differenza, ma anche il ruolo raggiunto. Tra i dirigenti, la Bocconi vanta il 18% di laureati in posizioni apicali, seguita da Luiss (10%) e alcune università pubbliche come Genova e Sapienza (8-9%). Al contrario, molti atenei mostrano una forte concentrazione nei ruoli impiegatizi, con percentuali che superano l'80%.
La ricerca conferma che l'università rimane un investimento vincente - il tasso di occupazione dei laureati è dell'82,2% contro il 45,1% di chi ha solo la licenza media - ma disciplina, ateneo e territorio fanno la differenza tra una carriera immediatamente redditizia e una crescita più lenta ma costante. Un calcolo che le famiglie italiane devono fare sempre più spesso in un Paese dove solo 3 giovani su 10 arrivano alla laurea.