Il 47% delle aziende italiane cerca competenze AI, ma la disoccupazione under 35 cresce. I nuovi ruoli digitali non bastano a colmare il mismatch
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Agenti virtuali, Chief AI Officer, trainer di algoritmi: sono alcune delle figure emergenti in un mercato del lavoro che, spinto dall’intelligenza artificiale, sta cambiando pelle. Eppure, mentre le aziende dichiarano di puntare tutto sulle competenze digitali, i dati reali raccontano una doppia velocità: da un lato l’espansione dei ruoli tech, dall’altro un’Italia dove la disoccupazione giovanile sfiora il 19% e cresce l’inattività al Sud (dati Istat).
Secondo il Work Trend Index 2025 di Microsoft e LinkedIn basato su oltre 30mila interviste globali e miliardi di dati aggregati da Microsoft 365, il 47% dei leader aziendali considera la formazione sull’intelligenza artificiale la massima priorità per i prossimi dodici mesi. L’82% si dice pronto a inserire agenti AI nei team di lavoro, e il 78% sta già assumendo per ruoli specifici legati a questa tecnologia.
Ma di quali figure si parla, concretamente? Le aziende cercano oggi nuovi professionisti ibridi, capaci di muoversi tra dati, automazione e interazione uomo-macchina. I più richiesti sono formatori di IA, esperti incaricati di addestrare e supervisionare i modelli; data specialist in grado di gestire e analizzare grandi volumi di informazioni; security specialist che si occupano della protezione degli ambienti digitali governati da algoritmi. E poi compaiono ruoli ancora in fase di definizione, come gli AI agent specialist, o il nascente Chief AI Officer, responsabile strategico dell’integrazione dell’intelligenza artificiale in azienda.
Accanto a questi, crescono anche le richieste in settori trasversali come il marketing, il customer service e la consulenza, dove l’IA è ormai vista come leva di competitività e innovazione.
Questa trasformazione globale si riflette, almeno in parte, anche nel contesto italiano. Le aziende chiedono sempre più competenze legate al digitale e all’automazione, ma faticano a trovarle: secondo i dati di Unioncamere, circa sei imprese su dieci cercano candidati con competenze tecnologiche avanzate, ma quasi la metà segnala difficoltà nel reperirli. L’uso concreto dell’intelligenza artificiale, però, resta ancora contenuto: solo l’11,4% delle aziende italiane la utilizza stabilmente nei propri processi, anche se una su cinque dichiara di voler investire in questa direzione entro il 2027.
E mentre la domanda di figure tecniche cresce, i numeri dell’occupazione mostrano segnali misti. A marzo 2025 il mercato del lavoro ha perso circa 16mila posti rispetto al mese precedente, con una riduzione soprattutto tra autonomi e contratti a termine. A preoccupare di più è il fronte giovanile: la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è salita al 19%, con un balzo di oltre un punto e mezzo in un solo mese. Anche gli under 35 nel complesso registrano un calo occupazionale, segno che l’onda dell’innovazione non basta, da sola, a portare inclusione.
Il paradosso è evidente: i ruoli nuovi ci sono, ma spesso non sono accessibili a chi più ne avrebbe bisogno. L’Italia vive un mismatch strutturale tra ciò che le imprese cercano e le competenze disponibili nel Paese. L’offerta di lavoro, soprattutto quella legata al digitale, è in crescita, ma riguarda grandi aziende e settori altamente qualificati, concentrati in alcune aree urbane del Nord.
Al Sud, invece, l’occupazione resta bassa: il tasso non supera il 49,3%, con picchi di disoccupazione femminile e giovanile che restano critici. Il tasso di inattività – persone che non lavorano e nemmeno cercano lavoro – supera il 43% tra le donne meridionali. È un’Italia a due velocità, dove il rischio è che le innovazioni tecnologiche amplifichino le disuguaglianze, invece di ridurle.
C’è però un elemento che le imprese – anche quelle più digitalizzate – continuano a considerare essenziale: le competenze umane. Se da un lato cresce la richiesta di figure tecniche e specialistiche, dall’altro emergono sempre più chiaramente le qualità che nemmeno l’intelligenza artificiale può replicare.
Secondo lo stesso report Microsoft, le aziende stanno riscoprendo il valore di soft skill come creatività, empatia, pensiero critico e capacità di gestione dei conflitti. Sono queste, oggi, le competenze chiave per distinguersi in un ambiente lavorativo in continua evoluzione. Non è un caso che quasi la metà dei lavoratori intervistati consideri l’IA non come un concorrente, ma come un "thought partner", un alleato nella generazione di idee e nella risoluzione dei problemi.