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Cestiè: se il cinema chiama dico sì

A Tgcom il bello della terza C

Ha fatto ridere milioni di giovani paninari di fine anni ’80 ne I ragazzi della terza C.

Ai loro genitori ha fatto riempire catini di lacrime con le sue interpretazioni di bambino sfortunato nei lacrima movies, i film strappalacrime che lo videro protagonista all’inizio degli anni ’70. Chi è? Matematico! E’ Renato Cestiè.

Con qualche capello in meno e un po' di pancia in più, il bel Massimo Conti della serie più fortunata della storia della televisione, ora gestisce una palestra a Roma. Non ha messo da parte la recitazione e con noi ripercorre la sua lunga carriera.

Quando ha iniziato al cinema?
Ho iniziato molto presto: avevo tre anni. Ho fatto pubblicità fino a 7 - 8 anni, quando ho cominciato a fare i primi film. Il primo ad avere molto successo fu L’ultima neve di primavera nel 1974, che era un film strappalacrime. Ne ho fatto diversi, tra cui Zanna bianca, Il venditore di palloncini, L’albero dalle foglie rosa. Nei lacrima movies avevo sempre ruoli molto drammatici.

Non era pesante, per un bambino così piccolo, recitare parti del genere?
No, no. Io mi divertivo un sacco, anche se i film che facevo erano strappalacrime. Non andavo a scuola: studiavo privatamente. Era un po’ pesante perché dovevo studiare sia il copione per il film, sia per la scuola, ma mi divertivo. Poi, a 14 anni, mi sono fermato. Ho ricominciato a 18 anni con uno sceneggiato televisivo che si chiamava Benedetta e company. Ho fatto altre cose, ma la più importante fu I ragazzi della terza C.

Come mai prese una pausa?
Sai, 14 anni è un periodo particolare. Si cambia, si diventa ragazzetto. Ho frequentato il liceo, mi sono diplomato.

Come ha vissuto il successo da bambino?
Mi toglieva un pò di libertà perché era un problema uscire di casa, andare al cinema, fare una vita normale. Ovunque andavo mi riconoscevano e poi autografi e cose del genere. Ecco, quella era l’unica cosa che non vivevo molto bene: mi dava fastidio non avere la libertà di uscire con gli amici e di farmi, tra virgolette, i cavoletti miei. Alla fine degli anni ‘80 arrivano I ragazzi della terza C, per quattro anni, dal 1986 al ‘90.

La serie per lei rappresenta un doppio passaggio: dal cinema alla tv, dal drammatico al comico. Perchè questa svolta?
Non è stata una mia scelta. Neri Parenti mi ha scelto per fare il ruolo di Massimo. Inizialmente non mi trovavo molto bene perché non avevo mai fatto un ruolo comico. Per me è stata una scuola. Abbiamo lavorato quattro anni, quasi tutti i giorni e alla fine mi ci sono ritrovato, anche perché interpretavo un ragazzo sportivo, giovane, com’ero io da ragazzo, quindi non avevo problemi. Poi, questo Massimo era una figura che io avevo in classe, quindi io lo avevo ben presente. Sono stati anni bellissimi. Mi sono divertito tantissimo insieme agli altri.

Perché la serie fu interrotta?
Esattamente non so. Noi avevamo firmato anche per le serie successive. Credo che cambiò il capo struttura di Italia 1, che all’epoca era Freccero, e chi lo sostituì probabilmente non volle continuare, non lo so…Finì tutto quanto.

È in quel momento che ha deciso di cambiare vita?
No, dopo un po’. La serie ha chiuso nel 1991, io ho deciso di smettere nel ‘94. Ho fatto altre piccole cose. Sono abbastanza riservato, quindi il fatto di non poter uscire, la gente che ti chiama e ti ferma, mi dava un po’ fastidio. Poi questo lavoro è fatto di pubbliche relazioni e io non riesco a uscire con una persona, se mi deve dare qualcosa. Non avendo queste pubbliche relazioni, è un po’ difficile lavorare. Allora ho deciso di cambiare lavoro e fare altro.

Quindi è stato questo che l’ha spinta a lasciare?
Sì probabilmente è stato questo. Poi è nato mio figlio e c’è stata tutta una serie di cambiamenti.

Spesso sono circolate voci di reunion, ma non se ne è mai fatto nulla, perché?
Anche qualche anno fa dovevamo fare una cosa. Ovviamente non I ragazzi della terza C, perchè siamo tutti più vecchiotti adesso. Doveva essere una cosa simile nell’ambito del lavoro. Ci sono stati tentativi su tentativi, ma poi non se ne è fatto più niente.

Come mai ha aperto una palestra?
Era la palestra dove mi allenavo con mia moglie. Nel ‘93 la vendevano e mi sono detto: “Sai che ti dico? Mi metto a fare questo. E’ un ambiente sano e divertente”. È nata così, non è stata una scelta particolare.

Lei, Fabio Ferrari (Chicco) e Fabrizio Bracconeri (Bruno) eravate molto amici...
Noi maschietti ci vedevamo un po’ di più. Anche adesso ci sentiamo, ci vediamo, usciamo. Certo non più come prima perché abbiamo le nostre famiglie, ma noi maschietti siamo sempre stati molto uniti, mentre le femminucce ce le siamo un po’ perse. Tranne Francesca Ventura, che ancora attualmente sento.

C’è qualche aneddoto del set che vuole raccontare?
Con Fabrizio ne sono successe tantissime. Così, su due piedi, mi viene in mente che tutto è nato come un gioco. Quando facevamo la prima serie, nessuno si aspettava il successo che abbiamo avuto. L’unico a prevederlo era proprio Fabrizio, che diceva sempre: “Mò vedete voi, mò vedete voi quello che succederà”. E noi “A Fabri’, qui è un casino. Vedrai che mo ce meneranno. Altro che seconda serie!”. Aveva ragione. Il giorno dopo la prima puntata, tutti e nove facemmo una conferenza stampa in un McDonald e mi ricordo che, appena finita la conferenza stampa, ci fu l’intervento della polizia per farci uscire: c’erano mille persone fuori dal locale, in piazza di Spagna, che ci avevano riconosciuto. L’unico che aveva previsto tutto questo era Fabrizio Bracconeri. Nessuno si aspettava una cosa del genere. Ci dicevamo: “Vabbè, è uscito, sarà una cosa così, come ne abbiamo fatte tante”. E invece credo che ancora oggi siamo la trasmissione più vista di Italia 1, a livello di share.

Se dovessero richiamarla al cinema accetterebbe?
Guardi, l’anno scorso ho fatto un paio di cose. Ho iniziato, ma poi, purtroppo, ho dovuto operarmi per un'ernia al disco e mi hanno dovuto sostituire. Ormai il mio lavoro ce l’ho, quindi, dal punto di vista economico, sono tranquillo. Se mi dovessero chiamare per fare una cosa che mi possa piacere, penso proprio che accetterei.

Viviana Pentangelo

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