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"Non sapevo disegnare le donne..."

Guido Crepax parla a Tgcom

Tratto raffinato e preciso, forme morbide e sinuose, storie sospese tra sogno e realtà. Questa, in estrema sintesi, l’arte di Guido Crepax, che Milano e Busto Arsizio celebrano con due mostre, Valentina allo specchio, ai Musei di Porta Romana del capoluogo lombardo fino al prossimo 16 dicembre, e Guido Crepax e le arti, nella città brianzola fino al 15 febbraio 2002. 

Crepax, le due mostre in corso riassumono i suoi oltre trent’anni di carriera nel mondo dei fumetti  E’ tempo di bilanci, c’è qualcosa che avrebbe voluto fare che non ha potuto realizzare?
Direi di no, ho sempre avuto una certa fortuna, non ho mai avuto il problema di fare i fumetti commerciali, sono sempre partito al meglio. Sono riuscito a fare quello che volevo, di testa mia, in quello che ho fatto ho messo me stesso. Tranne che per le storie tratte da classici della letteratura ho sempre scritto io, in piena libertà, le mie avventure.

Com’è il suo rapporto con i lettori?
Di rispetto, certamente, ma non ho mai seguito eventuali consigli, ho sempre ignorato tutto.  E’ strano, perché quando si fanno cose per gli altri si dovrebbe tener conto dell’opinione altrui. Io posso capire che le mie cose non piacciano, ma non ho fatto nessuno sforzo per piacere.

Il suo nome è legato al personaggio di Valentina, che però, anche se forse pochi lo sanno, nelle sue primissime storie era solo una comprimaria…
In effetti è così, perché la serie all’inizio era incentrata su Neutron, alter ego di Philip Rembrandt, un critico d’arte dal potere ipnotico al quale avevo dato doppia personalità, che poi è diventato il compagno di Valentina. Le atmosfere di quelle storie risentivano della mia passione per il fumetto americano, per disegnatori come Phil Davis e Ray Moore, creatori di Mandrake e dell’Uomo Mascherato. Ma ben presto Neutron-Rembrandt passò in secondo piano, e le avventure cominciarono a ruotare attorno a Valentina

La vita su carta di Valentina nasce nel 1965 e dura una trentina d’anni. Come è cambiato il personaggio e in che maniera ha vissuto la trasformazione sociale di questi decenni?
Il personaggio è cambiato ben poco, risente inevitabilmente del suo autore. Mi spiego: io sono sempre stato un tipo abbastanza isolato, mi interessava disegnare e tutto quello che ho messo nelle mie storie mi appartiene, va oltre i condizionamenti che potrebbe dare il periodo storico nel quale vivo. Valentina. che si ispira all'attrice del cinema muto Louise Brooks,  voleva essere una donna emancipata, l’ho fatta diventare subito una professionista fotografa, e nella metà degli anni ‘60 di donne fotografo ce n’erano davvero poche. L’ho resa libera anche negli affetti e nella sessualità, il suo rapporto con Philip è stato di “fedele infedeltà”. Valentina è stata sempre indipendente, al di là di tutto e tutti.

Oreste Del Buono ha detto che Valentina “non tiene affatto alla conservazione del mondo attuale”, e non a caso spesso si rifugia in altre dimensioni, il sogno in primis...
E’ vero, ciò nasce dalla mia passione per la psicanalisi. Ho molti amici che se ne interessano, io ho letto Freud e un po’ di cultura nel campo l’ho acquisita, anche se non l’ho mai praticata. Il sogno, le dimensioni parallele, rappresentano un modo per liberare la fantasia creativa di chi scrive.

  

Valentina è un personaggio molto legato a Milano, dove si svolgono gran parte delle sue avventure. Qual è il suo rapporto con la città?
Valentina ama Milano come la amo io, visto che ci vivo volentieri. Ritengo però che sia una città bruttissima, la peggiore d’Italia dal punto di vista architettonico, perché non ha una connotazione urbanistica ben delineata.

L’occhio da architetto certe cose le nota subito…
Io in realtà architetto lo sono di nome, ma di fatto non ho mai esercitato. Subito dopo la laurea ero passato a fare altro, cose che avevano a che fare col disegno, la grafica e il fumetto. In quel periodo, nei primi anni 60, ho realizzato diverse copertine di dischi jazz (Gerry Mulligan, Charlie Parker, Louis Armstrong, ndr), un genere di cui sono molto appassionato, e certe atmosfere musicali le ho inserite nelle mie storie. Poi realizzavo copertine di riviste, ho fatto tanta pubblicità, sicuramente più redditizia del fumetto, visto che non ho mai avuto successo popolare pur avendo pubblicato tantissimo anche all’estero.

Oggi è sempre più difficile fare fumetti, il pubblico è cambiato, legge meno e non gli autori tutti possono permettersi, come lei, di lavorare in piena libertà. Quali sono le ragioni di questa crisi?
Il fumetto lo considero finito. Non mi so spiegare il perché di questa crisi: si dice che la colpa sia del cinema o della televisione, che ‘distrarrebbero’ troppo i lettori. Però il cinema c’è da oltre un secolo, la tv esiste da anni, quindi non credo che le cause siano queste, ma non ne so trovare. Di sicuro è duro oggi cominciare la carriera di fumettista, anche perché i giovani, che prima erano i primi fruitori, adesso ne leggono davvero pochi. Io ho un nipote che vorrebbe fare i fumetti, ma gli dico lasciare stare.

Ha parlato di cinema e tv come possibile causa della crisi del fumetto. Eppure le sue strisce sono state trasposte sul grande e sul piccolo schermo
La trasposizione televisiva di Valentina mi è interessata poco, non mi è piaciuta molto. Una cosa dignitosa ma nulla più. Anche il film Baba Yaga (tratto dall’albo “Valentina nella stufa” ndr) non mi ha entusiasmato. A me interessa solo il disegno, tutto il contorno poco importa.

E dire che da giovane lei si lamentava di non sapere disegnare corpi femminili...
E’ vero, quando ero bambino avevo questo complesso di non sapere portare su carta le donne. Devo dire che mi sono rifatto…

Cosa le riserva il futuro?
Io sono abbastanza vecchio, al futuro credo poco. Ho quasi settant’anni, certi inconvenienti fisici mi costringono a occuparmi meno che in passato delle mie passioni. Ma per fortuna le mani funzionano bene, e mi sembra di essere ancora bravo.

Domenico Catagnano