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Agroalimentare: “irrompe” la Cina, ma resiste il Made in Italy

Il giro di affari è aumentato nel 2013 e il trend è confermato anche per il futuro. Il mercato cinese è uno sbocco ideale per i nostri prodotti

agricoltura, campo
-afp

Il comparto agroalimentare italiano è tra quelli che ha saputo affrontare meglio la crisi. Il settore è cresciuto nel 2013 (il trend sembra confermato per il 2014) e anche per i prossimi anni, soprattutto le imprese del Nord, è previsto un ulteriore incremento del giro di affari. Tante start up ad alto contenuto tecnologico puntano sull'agroalimentare. Ma le aziende italiane devono comunque fare i conti con nuovi attori che si affacciano sul mercato, la Cina su tutti.

Che la Cina abbia approfittato del lungo periodo di crisi per introdursi nei mercati occidentali, è cosa nota. Che l'economia cinese sia trainata molto dagli investimenti, anche. E l'Italia è terra particolarmente ambita in questa fase: nel primo semestre del 2014 il giro di affari stimato è di 3,5 miliardi di euro in investimenti. L'ultima frontiera sembra essere il settore agroalimentare. È notizia di alcune settimane fa, ad esempio, l'accordo per l'acquisizione del pacchetto di maggioranza del Gruppo oleario toscano Salov, proprietario dei marchi Sagra e Filippo Berio, da parte della cinese Yimin, che fa capo al gruppo Bright Food.

Di fatto l'acquisizione cinese rappresenta per l'azienda toscana della famiglia Fontana un'ulteriore opportunità di sbocco verso i mercati emergenti, data la presenza già massiccia in quelli più tradizionali (Europa, Stati Uniti). Il gruppo Salov produce e vende olio di oliva – segmento che nello specifico ha risentito negativamente quest'anno del clima e degli attacchi della mosca olearia – in oltre 60 paesi per un fatturato di 330 milioni di euro: da adesso si prospetta la possibilità, al fianco della Bright Food (che ha un "peso" di 17,3 miliardi di dollari), di incrementare il raggio d'azione.

Coldiretti, tra le associazioni di categoria, lamenta il graduale “allontanamento” del Made in Italy, sempre più nelle mani degli stranieri. In effetti è di oltre 10 miliardi il valore dei marchi agroalimentari più importanti venduti all'estero. Ma il Made in Italy è davvero a rischio? Metterla in questo modo può suggerire una visione fin troppo allarmistica. In definitiva, come certificato dall'Istat, ancora oggi l'Italia si conferma il primo paese per numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall'Unione europea.

I prodotti agroalimentari di qualità riconosciuti al 31 dicembre 2013 sono 261 (13 in più rispetto al 2012). I settori con il maggior numero di riconoscimenti sono gli ortofrutticoli e cereali (101 prodotti), i formaggi (47), gli oli extravergine di oliva (43) e le preparazioni di carni (37). Le carni fresche e gli altri settori comprendono, rispettivamente, cinque e 28 specialità. Le regioni con più Dop e Igp sono Emilia-Romagna e Veneto, rispettivamente con 39 e 36 prodotti riconosciuti. Nel 2013 gli operatori certificati sono 80.435, in aumento di 204 unità (+0,3%) rispetto al 2012. Di questi, il 91,2% svolge esclusivamente attività di produzione e il 6,6% di trasformazione; il restante 2,2% effettua entrambe le attività.

L'intero comparto, nel 2013, ha registrato un fatturato di 266 miliardi di euro. E restando in tema non solo investimenti cinesi in Italia, ma anche una massiccia quantità di ordini dei nostri prodotti. Granarolo ha da poco annunciato l'apertura della prima filiale in Cina, a Shangai. Una scelta strategica, a ben vedere, considerato che negli ultimi cinque anni è stata rilevata una crescita delle importazioni di beni alimentari superiore al 20% e si stima che entro il 2018 quello cinese possa diventare il maggiore mercato di importazione di generi alimentari con un valore di oltre 80 miliardi di dollari.