Il Gender Gap Report 2025 conferma che la parità nel lavoro resta lontana. Il divario retributivo migliora lentamente, ma le disuguaglianze più profonde riguardano carriera e leadership. E il peso del lavoro di cura continua a ricadere sulle spalle femminili
© Istockphoto
Nel mercato del lavoro italiano, le donne continuano a guadagnare meno, crescere più lentamente e restare ai margini dei ruoli di potere. Non è un'impressione: è quello che emerge dal Gender Gap Report 2025 dell'Osservatorio JobPricing, giunto alla sua undicesima edizione e realizzato in collaborazione con IDEM | Mind The Gap.
I numeri mostrano come, nel settore privato, il divario retributivo medio si attesta al 7,2% sulla retribuzione annua lorda e all'8,6% sulla retribuzione globale. Tradotto in cifre concrete, le lavoratrici italiane guadagnano in media 2.300 euro in meno all'anno rispetto ai colleghi uomini, che diventano 2.900 considerando l'intero pacchetto retributivo. Detto in un altro modo: è come se le donne italiane lavorassero gratis dal primo gennaio fino al 27 dello stesso mese. Quasi un mese di lavoro non retribuito, anno dopo anno.
Ma il vero problema non è solo quanto si guadagna in busta paga. È che le disuguaglianze si amplificano man mano che si sale nella gerarchia aziendale e si avanza con l'età. Nella fascia 55-64 anni, il gender pay gap supera il 12%. Quando si osservano i compensi variabili – premi, bonus, incentivi – il divario esplode fino al 27,4%.
Questo accade perché le donne faticano ad accedere ai ruoli dove si concentra il potere decisionale e retributivo. Nei ruoli apicali – dirigenti e top manager – la presenza femminile si ferma al 19%. La percentuale sale al 31% tra i quadri, ma resta comunque minoritaria. Ancora più emblematico è guardare ai consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. Qui la rappresentanza femminile ha raggiunto il 43,2%, un dato che potrebbe sembrare incoraggiante. Ma basta scavare un po' per capire che si tratta di una presenza spesso simbolica: solo il 16,9% delle donne nei CdA ricopre ruoli esecutivi, con potere decisionale reale. E appena il 2,3% è amministratrice delegata. Come spiega Matteo Gallina, responsabile dell'Osservatorio JobPricing: "La componente femminile rimane una quota ridotta nelle popolazioni manageriali e, ancor più, nei ruoli decisionali delle aziende, per via di un retaggio culturale che caratterizza il nostro tessuto imprenditoriale".
Il report dedica un'attenzione particolare a un aspetto spesso trascurato: come le donne percepiscono il proprio lavoro e le proprie retribuzioni. E qui emerge un quadro coerente con le disuguaglianze oggettive. Le lavoratrici si dichiarano sistematicamente meno soddisfatte del proprio pacchetto retributivo: la media complessiva è di 3,6 punti su 10, contro il 4,5 degli uomini. Le differenze più marcate riguardano la percezione di equità interna e di meritocrazia. In altre parole, le donne avvertono che il sistema non le riconosce e non le premia in modo giusto.
Ma c'è di più. Cambiano anche le priorità. Le lavoratrici danno maggiore importanza alla flessibilità oraria, allo smart working e ai benefit legati alla conciliazione tra vita privata e professionale. Gli uomini, invece, restano più concentrati sulla retribuzione variabile e sulle prospettive di crescita economica.
Questa divergenza non è casuale: riflette il peso sproporzionato del lavoro di cura che ancora oggi grava sulle spalle femminili. Come sottolinea Nicole Boccardini, Operations Manager di IDEM | Mind the Gap: "Le donne continuano a farsi carico in misura sproporzionata del lavoro di cura, e rimangono ancora sottorappresentate nei ruoli decisionali".
Il gender gap non è un fenomeno che nasce nel momento dell'assunzione. È il risultato di meccanismi che si innescano molto prima e si perpetuano lungo tutto l'arco della vita lavorativa. Comincia dalla formazione. Le ragazze sono ancora sottorappresentate nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), che sono proprio quelle che alimentano "le professioni del futuro" e offrono le retribuzioni più alte. Questa segregazione formativa si traduce automaticamente in una limitata partecipazione femminile ai settori più dinamici e remunerativi dell'economia.
Prosegue con l'accesso al mercato del lavoro, dove il tasso di occupazione femminile in Italia resta tra i più bassi d'Europa. E si consolida nei meccanismi di carriera, dove persistono barriere invisibili ma concrete che rallentano o impediscono la progressione professionale delle donne.
Il risultato? Una disuguaglianza che non deriva tanto da differenze dirette nelle retribuzioni per ruoli equivalenti, quanto dal mancato accesso ai percorsi di carriera. Le donne vengono sistematicamente escluse dalle posizioni dove si concentrano potere decisionale e compensi più elevati.
Tuttavia, la trasparenza da sola non basta. Serve un cambiamento sistemico che parta dalla cultura organizzativa e si traduca in modelli di lavoro realmente inclusivi. Servono politiche di Total Reward più equilibrate, modelli di leadership che valorizzino stili diversi, percorsi di crescita che non penalizzino chi ha responsabilità di cura.
Il Gender Gap Report 2025 ci dice che il divario si sta riducendo, ma a una velocità troppo lenta per segnare un cambiamento strutturale. Dal picco del 12,7% del 2016, il divario retributivo è sceso al 7,2% del 2024. Un miglioramento, certo, ma che ai ritmi attuali richiederebbe ancora decenni per essere colmato.
La parità di genere non è solo una questione di giustizia sociale. È una condizione per la competitività, la produttività e la sostenibilità delle imprese italiane. Significa valorizzare tutto il talento disponibile, senza sprecare competenze a causa di stereotipi e barriere culturali.
Come conclude il report: "La parità di genere non può più restare un principio a cui ispirarsi: deve diventare una pratica quotidiana, concreta e misurabile". I dati ci sono. La consapevolezza sta crescendo. Gli strumenti normativi arrivano dall'Europa. Ora serve la volontà di trasformare questa consapevolezza in azione, costruendo contesti di lavoro dove equità, trasparenza e rispetto delle differenze diventino parte integrante delle strategie aziendali. Perché il divario di genere non riguarda solo le donne. Riguarda il tipo di società e di economia che vogliamo costruire.