Inchieste internazionali rivelano la possibile presenza di kill switch nei pannelli fotovoltaici made in China: dispositivi nascosti capaci di disattivare da remoto gli impianti installati in Europa e Stati Uniti
© Tgcom24
L'ipotesi di un conflitto globale innesca timori anche sul fronte dell'energia. Secondo un'inchiesta del "Daily Mail", la Cina avrebbe segretamente installato dei "kill switch" nei pannelli solari esportati in Occidente. Questi dispositivi sarebbero in grado di spegnere gli impianti fotovoltaici da remoto, mettendo a rischio la sicurezza energetica di Stati Uniti ed Europa. Una possibilità che, se confermata, avrebbe conseguenze pesanti su scala globale, soprattutto considerando il ruolo dominante della Cina nella produzione mondiale di pannelli fotovoltaici. Un recente approfondimento ha mostrato come in alcune aree del mondo l'import di pannelli cinesi sia aumentato drasticamente per ragioni geopolitiche, più che ecologiche.
Fonti del governo e dell'intelligence statunitense, citate dal Daily Mail, hanno espresso preoccupazione per la presenza di componenti elettronici "controllabili da remoto" nei pannelli solari prodotti in Cina. Il timore è che questi dispositivi possano essere attivati in caso di un'escalation militare o geopolitica, portando allo spegnimento massiccio degli impianti fotovoltaici installati in Paesi considerati "nemici" da Pechino. Gli analisti vedono questa eventualità come parte di una strategia più ampia da parte della Cina, che punta a rafforzare la propria posizione non solo nel settore economico, ma anche nel dominio tecnologico e infrastrutturale. Nessuna prova ufficiale è stata diffusa, ma l'ipotesi è ora al centro di indagini e discussioni nei circoli politici e militari occidentali.
Un "kill switch" è un meccanismo integrato in un dispositivo elettronico che consente, tramite un comando remoto, di interromperne il funzionamento. Se applicato a larga scala negli impianti solari, questo sistema potrebbe mettere fuori uso in pochi secondi centrali energetiche fondamentali per la stabilità nazionale. Secondo l'indagine britannica, la Cina avrebbe incluso questi componenti in migliaia di pannelli venduti nel mondo. La difficoltà nel rilevare tali dispositivi e la mancanza di standard internazionali di sicurezza per i componenti fotovoltaici rende il rischio ancora più concreto. Gli esperti parlano di una "arma invisibile" già installata nei tetti di case, aziende e persino impianti pubblici in tutto l'Occidente.
La preoccupazione cresce anche in virtù del dominio incontrastato della Cina nel mercato del fotovoltaico. Secondo i dati dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), Pechino produce oltre l'80% dei pannelli solari installati nel mondo e controlla quasi tutta la filiera, dal silicio grezzo ai moduli finali. Tra i maggiori produttori figurano giganti come Longi Green Energy, JA Solar e Trina Solar, tutti cinesi. Gli Stati Uniti e l'Europa, pur in crescita sul fronte delle installazioni, dipendono ancora fortemente dalle importazioni cinesi. Questa dipendenza, in caso di attacco informatico o spegnimento remoto, potrebbe trasformarsi in una grave vulnerabilità strategica.
Negli Stati Uniti, il tema è già entrato nel dibattito del Congresso, dove alcuni legislatori hanno chiesto una revisione completa dei dispositivi fotovoltaici importati dalla Cina. Il Dipartimento dell'Energia ha avviato verifiche su impianti ritenuti "critici" per la rete nazionale. Anche in Europa cresce l'attenzione. La Commissione UE sta valutando nuove linee guida per la sicurezza delle infrastrutture energetiche, mentre in Germania e Francia si discute dell'opportunità di diversificare i fornitori e incentivare la produzione interna.
Se confermata, la presenza di kill switch rappresenterebbe un rischio non solo per la sicurezza ma anche per l'economia occidentale. Un'interruzione massiva della produzione solare comporterebbe blackout, danni industriali e destabilizzazione dei mercati energetici. Il recente blackout in Spagna, dovuto a un improvviso squilibrio nella rete causato dalla disconnessione di impianti fotovoltaici, ha evidenziato quanto sia cruciale investire nella resilienza delle infrastrutture energetiche. Anche per questo, cresce l'interesse per nuove tecnologie e modelli di sviluppo nel settore solare, che possano offrire soluzioni più sicure e sostenibili.
Secondo i dati del 2023, l'Unione Europea, gli Stati Uniti, l'India e l'Australia figurano tra i maggiori importatori di pannelli solari cinesi. L'Europa, in particolare, ha aumentato la propria dipendenza a seguito della crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina. Anche l'Africa e l'America Latina si stanno affidando a tecnologie fotovoltaiche cinesi per i loro piani di sviluppo sostenibile. La diffusione capillare rende il controllo cinese un elemento geopolitico di primaria importanza.
Le alternative ci sono, ma sono meno competitive sul piano dei costi e della produzione su larga scala. Aziende statunitensi, europee e sudcoreane stanno cercando di colmare il gap tecnologico, ma la Cina mantiene un vantaggio grazie all'integrazione verticale e agli incentivi statali. Alcuni Paesi stanno investendo in catene di approvvigionamento interne, puntando su materiali come il perovskite o su tecnologie emergenti come il tandem. Quest'ultima è una soluzione per combinare materiali diversi per catturare più luce solare e aumentare l’efficienza energetica. La tecnologia tandem, basata su strati sovrapposti di silicio e perovskite, promette di superare le prestazioni dei moduli tradizionali, rappresentando un’alternativa strategica in un mercato sempre più geopolitico.
Washington ha imposto dazi e restrizioni all'importazione di componenti solari cinesi. Inoltre, il Dipartimento dell'Energia ha avviato progetti per rafforzare la produzione domestica e ridurre la dipendenza da Pechino. Il "Solar Energy Manufacturing for America Act", parte dell'Inflation Reduction Act, stanzia fondi per lo sviluppo di una filiera fotovoltaica americana.
Attualmente l'UE non ha imposto restrizioni severe, ma è in corso una revisione delle normative sulla sicurezza delle infrastrutture critiche. Alcuni Paesi membri hanno sollevato dubbi sull'uso di tecnologia cinese nei settori sensibili. Si discute della creazione di standard comuni per valutare l'affidabilità dei componenti e incentivare la produzione europea.
Sì. Il vantaggio competitivo della Cina deriva da una produzione su scala industriale, bassi costi di manodopera, supporto statale e accesso diretto alle materie prime. I pannelli europei sono generalmente più costosi, ma offrono maggiori garanzie in termini di trasparenza, sostenibilità e sicurezza tecnologica.