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Giordano Casiraghi presenta “La fine non esiste”

L'album che segna il ritorno discografico della storica band progressive Semiramis

Giordano Casiraghi presenta “La fine non esiste” - foto 1
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Ci sono persone che riescono a “trasportare” la loro passione nel lavoro di tutti i giorni e a farlo con una continuità che li pone meritatamente al centro dell’attenzione.

E‘ il caso del poliedrico Giordano Casiraghi: musicista, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico, con decenni di attività alle spalle e tante esperienze personali, maturate in un lungo lasso di tempo. Il suo libro nuovo libro “Che Musica a Milano” sta ottenendo un grande riscontro, da parte del pubblico. Da ricordare nel recente passato anche splendidi volumi come: “Cose dell’Altro Suono. Avventure Musicali in Italia 50/90” dedicato alla musica alternativa o “Battiato. Incontri”, focus ricco di informazioni, su un personaggio che di Casiraghi fu grande amico, fin dagli esordi.

 

E’ un piacere ospitare Giordano a “Popular”, per parlare di un album di nuove canzoni per i Semiramis, gruppo cardine del Prog Rock italiano. Nell’ambito della musica prog rock, che continua a mantenere forte interesse da parte di una nutrita schiera di amatori che frequentano fiere del disco e concerti, si inserisce questo nuovo lavoro dei Semiramis a 50 anni dall’esordio con “Dedicato a Frazz”, uscito nell’ottobre 1973 per l’etichetta Trident di Salvadori - Carrara. Nel gruppo storico dei Semiramis facevano parte Michele Zarrillo e Giampiero Artegiani, anche quest’ultimo con una importante carriera da solista e autore di brani come “Perdere l’amore” vincitore del Festival di Sanremo 1988. Ora, dopo aver ripreso da un decennio l’attività live, documentata con un album nel 2017, i Semiramis arrivano a pubblicare “La fine non esiste” con canzoni e musica nello stile che li ha contraddistinti fin dagli esordi. Melodie e cambi di stile tipici del prog e una forza espressiva che ci riporta agli albori di quello che è stato un fenomeno importante per la musica italiana ed europea degli anni Settanta. Ne abbiamo parlato con il fondatore storico, il batterista Paolo Faenza, che ha raccolto attorno a sé un gruppo di musicisti appassionati del genere e insieme hanno calcato le scene arrivando a suonare in Giappone, paese molto ricettivo in merito al pop italiano dei Settanta. 

 

Dopo 50 anni da “Dedicato a Frazz” un album di nuove canzoni e musiche, che collegamento stilistico è stato mantenuto con il disco d’esordio?

Tengo a precisare che al momento della decisione di fare un nuovo lavoro non sono state pianificate strategie, io e Daniele Sorrenti abbiamo semplicemente scritto nuovi brani e testi con l’unico intento di comporre ciò che più ci desse soddisfazione. Detto questo a fine scrittura e arrangiamento, a cui hanno preso parte tutti i membri della band, ci siamo accorti che istintivamente il collegamento stilistico è presente, ma non predominante.

 

La fine non esiste arriva dopo alcuni anni di concerti. Quando avete rimesso insieme il gruppo per arrivare a questo risultato?

Dal 2014, quando ho deciso di riformare i Semiramis, con il susseguirsi dei vari elementi c’è voluto il tempo naturale e necessario al consolidamento dell’attuale line-up per poi arrivare alla scrittura e alla conclusione del nuovo lavoro. Dopo la prematura scomparsa di Giampiero Artegiani e Maurizio Zarrillo sono rimasto in formazione solo con Ivo Mileto e Daniele Sorrenti fino a oggi.

 

Nelle esibizioni di quel periodo, culminati con la pubblicazione del live registrato a Genova nel 2017, cosa proponevate?

Dal 2014 al 2017 l’unico intento era quello di far rivivere dal vivo l’album dell’esordio. Dopo un breve stop di circa due anni a seguito di varie sventure abbiamo sentito la necessità nel 2022 di riportare la musica dal vivo.

 

L’aver perso nel giro di poco tempo sia Maurizio Zarrillo, fratello di Michele, che Giampiero Artegiani cosa ha causato per il gruppo?

Poco prima di partire per il live in Tokyo, siamo nell’agosto 2017, arriva la prima perdita importante per la band, ovvero Maurizio Zarrillo ci tira un brutto sgambetto e per me arriva il primo campanello di disorientamento. Faticosamente con tutta la band decidiamo di affrontare ugualmente il concerto di Tokyo, dedicandolo a Maurizio e rimandare qualsiasi decisione per un prossimo disco a un momento successivo. Poi però, nel febbraio 2019 dopo una lunga malattia anche Giampiero Artegiani ci lascia. Il mio primo pensiero è stato quello di mollare il colpo, ma la forza della musica è uscita alla grande e aver trovato Daniele Sorrenti come spalla per la parte compositiva mi ha fatto ritrovare la forza per continuare e preparare musica e testi per La fine non esiste.

 

Vuoi presentarci la formazione attuale, che responsabilità senti nell’essere l’unico dei Semiramis originali?

Oltre a me (batteria e vibrafono) ci sono Ivo Mileto (basso) e Daniele Sorrenti (tastiere, organi e synth) già nel gruppo da un decennio, a loro si sono aggiunti Emanuele Barco (chitarre elettriche), Marco Palma (chitarre acustiche) e Giovanni Barco (voce). L’unica responsabilità che sento è che con me si alza la media di età della band, ma evidentemente la mia presenza serve come collante e memoria storica con quello che è stata la musica degli anni Settanta che ha generato quello stile Prog Rock ancora oggi molto amato.

 

Infatti, vorrei portarti a ricordare quello che succedeva Cinquanta anni fa in Italia, quando il Prog Rock era sulla cresta dell’onda con il fiorire di tanti gruppi che si misuravano nei festival pop. Che ricordi hai di quel tempo andato?

La cosa che più porto nel cuore di quel periodo è lo spirito con il quale ci confrontavamo con gli altri artisti che animavano la scena. Era un confronto costruttivo e senza competizione. In effetti accadeva molto spesso che mentre suonavamo gli altri componenti di gruppi, come Banco o New Trolls, li vedevamo sotto il palco ad ascoltarci. Per non parlare di quello che viene chiamato Jam Session, ovvero componenti di diversi gruppi che danno vita a improvvisazioni irripetibili.

 

Avete partecipato a qualche festival pop? Come eravate arrivati a quel disco che venne osannato dalla critica?

All’epoca abbiamo partecipato a vari festival pop, da Villa Pamphili al Be-In di Napoli, ma anche al Palermo pop. Ci tengo a dire che il nostro disco è stato acclamato e maggiormente scoperto negli anni a venire da un più vasto pubblico. A quei tempi i dischi dovevi comprarli e i passaggi in televisione o in radio erano ridotti al minimo per tutti i gruppi del pop. La costruzione del nostro disco d’esordio è cominciata alla fine del 1972 e terminato nel 1973. Una vena compositiva che coinvolgeva tutti noi nel musicare i testi di Marcello Reddavide, ma in particolare Michele Zarrillo.

 

Adesso che esiste un ritorno di interesse per il genere Prog Rock come vedete in prospettiva la continuazione della proposta. In Messico e in Giappone il prog italiano ottiene molto interesse. In Italia cosa succede?

Come ci saremmo aspettati, la risposta Giapponese e Sudamericana in genere non si è fatta attendere: recensioni, commenti social, apprezzamenti e proposte di concerti sono arrivate ancora prima dell’uscita ufficiale del disco. E stavolta anche dall’Italia stiamo ottenendo grande risonanza.

 

Per il nuovo disco come vi siete mossi per i testi, in due brani fate riferimento e rendete omaggio alla transvolatrice americana Amelia Earhart (Donna dalle ali d’acciaio) e a Umberto Nobile (Tenda rossa) anch’egli transvolatore avventuroso. Affascinati dai pionieri del volo?

Siamo affascinati dai pionieri dell’aria, siamo stati ispirati da chi tenta o ha tentato in passato imprese al limite della follia, proprio come il nostro caro Frazz degli esordi. Abbiamo deciso di scrivere nuovi testi e chiamarlo “La fine non esiste”, come inno alla capacità di andare oltre, di superare i confini di ciò che è considerato possibile, normale, giusto. Una scintilla geniale e folle allo stesso tempo, che permette all’individuo di fare passi in avanti, piccoli o grandi che siano.

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