Dal 9 all'11 luglio il presidente americano riceve a Washington i capi di Stato di Gabon, Guinea-Bissau, Liberia, Mauritania e Senegal. Ecco perché
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Tra una cena con Benjamin Netanyahu e gli ennesimi annunci di dazi contro mezzo mondo, Donald Trump ha ritagliato ben tre giorni della sua agenda di politica estera per occuparsi di un altro dossier strategico per gli Stati Uniti: l'Africa. Un quadrante del pianeta che l'amministrazione americana rischia di vedersi scivolare dalle mani, dopo la decisione di smantellare l'Usaid, l'Agenzia federale che si occupava dei programmi umanitari e di sviluppo nei Paesi più arretrati del mondo. L'obiettivo principale degli Usa resta quello di impedire una qualunque supremazia estera della grande rivale Cina, la quale è però penetrata ampiamente nel Continente Nero attraverso la seduzione economica e infrastrutturale.
Porti, autostrade, tecnologia, macchinari industriali, capitali, investimenti: Pechino ha interessi enormi in Africa e in diversi Paesi detiene il monopolio dell'estrazione dei minerali. Terre rare incluse, indispensabili agli Stati Uniti per competere nella sfida tecnologica. Da qui la decisione di Trump di organizzare un vertice di tre giorni con i leader di Gabon, Guinea-Bissau, Liberia, Mauritania e Senegal. Un evento passato "in sordina", ma decisivo per la Casa Bianca.
Nonostante l'amministrazione Trump si sia in gran parte disimpegnata dall'Africa - lasciando campo libero all'influenza di russi e cinesi, tagliando gli aiuti ed emettendo divieti di visto per diversi Paesi - gli Stati Uniti non possono in alcun modo permettersi di perdere l'aggancio con alcuni attori del continente. Il motivo è palese: l'approvvigionamento di materie prime critiche e terre rare, dal litio al cobalto. Gran parte sono prodotte ed esportate dalla Cina, che dunque ha tra le mani il potere di mettere in crisi il sistema tecnologico. "Il commercio e non gli aiuti, uno slogan che sentiamo ripetere da anni, è ora la nostra vera politica per l'Africa", aveva affermato già a maggio Troy Fitrell, il principale diplomatico uscente di Trump per il continente.
La strategia dell'amministrazione Trump è stata influenzata da Massad Boulos, consigliere senior di Trump per l'Africa e suocero di una delle figlie del presidente, Tiffany. A Boulos viene attribuito il merito di aver negoziato i termini di un recente accordo di pace tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, che potrebbe portare a maggiori investimenti statunitensi nel settore minerario nel cuore centro-occidentale d'Africa. Qui si trovano infatti i maggiori giacimenti di manganese, bauxite e rame. Qui la Cina non è riuscita a installare un monopolio estrattivo. Qui la penetrazione di nazioni piccole e divise tra loro risulta più fattibile. Non è un caso che al vertice non siano state invitati Stati come Nigeria e Sudafrica, con cui ci sono evidenti tensioni e con la seconda che riceverà sicuramente dazi più alti (30%).
Trump potrebbe anche considerare alcune di queste nazioni africane come potenziale approdo delle deportazioni annunciate di immigrati irregolari dagli Stati Uniti. Anche se si tratta di luoghi diversi dai loro Paesi d'origine, come testimonia il recene caso del Sud Sudan. La migrazione africana attraverso l'Atlantico e il confine tra Usa e Messico, in particolare da Mauritania e Senegal, è aumentata negli ultimi anni. A giugno, l'amministrazione Trump ha emesso un divieto di viaggio per sette Stati africani e ha concesso ad altri 36 (tra cui Gabon, Liberia, Mauritania e Senegal) 60 giorni di tempo per risolvere i problemi di controllo e gli elevati tassi di superamento della durata del visto. In caso contrario si troveranno ad affrontare un divieto di viaggio.
Il governo e le società minerarie private cinesi gestiscono siti minerari in vari Stati africani, nonché un numero piccolo ma crescente di siti di lavorazione per processare prontamente i minerali appena estratti. Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, Pechino vanta una decina di siti di lavorazione del cobalto, che però spediscono i minerali grezzi in Cina per essere lavorati e trasformati. Ciò che preoccupa maggiormente gli Stati Uniti è il monopolio cinese sull'estrazione mineraria nella "cintura del rame" africana (Congo e Zambia) e gli investimenti miliardari nella produzione di litio in Zimbabwe, sede dei giacimenti più grandi dell'intero continente. Questi investimenti consentono al Dragone di dettare legge nella catena di approvvigionamento globale di batterie rinnovabili e veicoli elettrici. Nel Congo, il Paese con le maggiori riserve mondiali di cobalto e rame di alta qualità, la Cina possiede attualmente il 72% delle miniere dei due elementi, incluso il sito di Tenge Fungurume, che da solo produce circa il 12% del cobalto mondiale. Le attività minerarie mandarine in questi tre Paesi conferiscono alla Repubblica Popolare un vantaggio significativo nella produzione di semiconduttori e batterie, e dunque nel campo della tecnologia e della transizione energetica. Tutto ciò che gli Usa vorrebbero evitare.