Il trattato è in vigore da un quarto di secolo, ma è stato firmato delle maggiori potenze (Usa compresi). Prima di Kiev, negli ultimi mesi, anche i Paesi Baltici e la Polonia hanno annunciato l'addio alla Convenzione. Ecco perché
di Maurizio PerrielloL'Ucraina ha annunciato la sua uscita dalla Convenzione di Ottawa, il principale trattato internazionale che vieta l'uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di mine antiuomo e impone la distruzione degli stock esistenti nonché l'assistenza alle vittime. La decisione di Kiev è giunta in scia ad altri Paesi europei che negli ultimi mesi hanno intrapreso la medesima decisione. L'Ucraina è infatti la sesta nazione a "rottamare" la Convenzione di Ottawa, dopo Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia e Finlandia. In questo senso Kiev "pareggia" Mosca, che non figura tra i firmatari del trattato. Ma come e perché è stata presa una decisione del genere?
Il trattato è nato nel 1997 ed è entrato in vigore nel 1999, venendo ratificato inizialmente da 164 Stati inclusa l'Italia. Tra i membri della Convenzione, però, non figurano sei giganti: Cina, Russia, India, Pakistan, Repubblica di Corea e Stati Uniti. L'assenza delle tre principali potenze del pianeta pone già fortissimi limiti all'efficacia del trattato. Per di più le mine antiuomo sono largamente utilizzate da numerosi attori paramilitari e non statali o sub-statali, che sono in grado di produrle in proprio o di adoperare quelli che vengono chiamati ordigni esplosivi improvvisati (Improvised Explosive Devices o "Ied").
Per mine antiuomo si intendono quegli ordigni esplosivi che si attivano quando vengono calpestati o toccati. Nascoste nel terreno o in anfratti, sono potenti abbastanza da ferire, mutilare o uccidere una o più persone. Se non sfiorate, dunque, le mine possono restare in un determinato luogo anche per anni o decenni, anche dopo la fine di una guerra, finendo col colpire civili. Di campi minati "dimenticati" e ancora attivi se ne contano a centinaia in 58 Paesi. La loro bonifica è impegnativa e costosa, e in molte nazioni viene procrastinata da anni anche a causa di conflitti che riesplodono ciclicamente.
Oltre che per scongiurare nuovi utilizzi di mine - come abbiamo visto, con risultati molto inferiori alle aspettative - la Convenzione di Ottawa è stata firmata soprattutto per garantire la distruzione degli stock, la bonifica delle aree minate, le misure di trasparenza e, soprattutto, l'assistenza alle vittime. Partiamo dalla distruzione degli stock: la Convenzione impegna gli Stati parte alla distruzione di tutte le mine antiuomo in loro possesso o sotto il loro controllo, "al più presto" ma in ogni caso non oltre i quattro anni dall'entrata in vigore del Trattato per lo Stato interessato. L'unica eccezione alle disposizioni sulla distruzione riguarda mine che possono essere mantenute ai fini di addestramento relativo a tecniche di rilevamento, bonifica o eliminazione e in numeri comunque minimi necessari a tali fini. A oggi, 157 Stati membri hanno eliminato l'interezza dei loro depositi, che cumulativamente contano oltre 47 milioni di ordigni.
Il trattato impone inoltre ai suoi membri l'identificazione delle aree contaminate, la loro segnalazione e delimitazione che garantisca la protezione dei civili finché il processo di bonifica non sia terminato. La bonifica totale deve intervenire entro 10 anni dall'entrata in vigore della Convenzione per lo Stato interessato, salvo richiesta di proroga che, comunque, non può superare un ulteriore periodo di 10 anni. Le disposizioni sull'assistenza alle vittime sono di centrale importanza nella Convenzione di Ottawa e, al tempo della sua negoziazione, rappresentarono una novità nel panorama degli strumenti di disarmo e controllo degli armamenti.
L'annuncio del ritiro ucraino dalla Convenzione di Ottawa è giunto tre mesi dopo quello di Lituania, Lettonia, Estonia e Polonia. Non è un caso: la militarizzazione russa del confine con la Nato ha spinto a un'azione simbolica gli Stati Ue più orientali, che guardano storicamente a Mosca come a una minaccia esistenziale. Una volontà comune che, assieme alle percentuali di riarmo più alte dell'intera Europa, restituisce un senso di coalizione contro il Cremlino: la dichiarazione di ritiro dal trattato è stata infatti presentata congiuntamente dagli Stati baltici e dalla Polonia. "Con questa decisione inviamo un messaggio chiaro: i nostri Paesi sono preparati e possono utilizzare tutte le misure necessarie per difendere il nostro territorio e la nostra libertà", si legge nel comunicato. Pur senza annunciarne l'intenzione, anche la Finlandia sta valutando di abbandonare la Convenzione per i medesimi motivi.
La domanda topica dunque diventa: ora che potrebbe usarle, l'Ucraina possiede mine antiuomo? Nel 2023 la distruzione della diga di Nova Kakhova aveva rivelato quanto il territorio ucraino fosse disseminato di mine predisposte dagli invasori russi. L'esplosione ha inondato ampie aree, facendo riemergere gli ordigni e aumentando il pericolo per i civili. Le sponde del fiume Dnepr si trasformarono in un campo minato "mobile". Da lì gli Stati Uniti decisero di dotare anche Kiev degli stessi ordigni. A settembre 2024 l'amministrazione Biden programmò l'invio di mine all'esercito ucraino, contraddicendo la politica intrapresa nel 2022 subito dopo l'invasione su larga scala russa. La necessità di Washington di non depotenziare però del tutto trattati e convenzioni di stampo occidentale, spinse il Pentagono a fornire a Kiev mine "a scadenza", cioè dotate di un sistema elettronico che ne limita la durata a un periodo compreso tra quattro ore e due settimane. Una volta attivate, dunque, queste mine si disattivano automaticamente, riducendo il rischio di esplosioni nel lungo periodo.