LA "BATTAGLIA" DEL TYCOON

Trump contro la California, Stato "santuario" per gli immigrati: i perché dietro le proteste di Los Angeles

La militarizzazione della "città degli angeli" mette in palio molto più di quanto si pensi. Trump tenta di affossare il modello californiano "contrario" ai canoni dell'America First. Col Golden State che pensa a un referendum sulla CalExit

di Maurizio Perriello
11 Giu 2025 - 14:33
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Los Angeles nel caos non è una buona notizia per gli Stati Uniti. Forse non è neanche una notizia. La California e la sua città più rappresentativa si sono configurate fin dalle presidenziali come un'alternativa al canone nazionale incarnato da Donald Trump. Un argine politico ed economico a quell'America First tanto radicato negli Usa profondi e nel Texas. In questo senso le parole della sindaca di Los Angeles, Karen Bass, suonano profetiche: "Trump sta usando la California come un esperimento". L'invio di truppe nel Golden State rappresenterebbero il tentativo del presidente americano di valutare i margini di utilizzo ed efficacia delle Forze armate per sedare disordini locali, anche di modestissima scala. Una deriva pericolosa, secondo molti governatori.

L'obiettivo del tycoon è affossare il modello californiano del "Sanctuary State", lo "Stato santuario" le cui leggi garantiscono protezione agli immigrati irregolari dall'espulsione ordinata dal governo federale. Dopo la guerra a quello che chiama "Stato profondo", cioè gli apparati messi lì apposta per arginare i colpi di testa del presidente, Trump si è scagliato con forza anche contro le resistenze locali alla sua politica sull'immigrazione. A partire dalla più ideologica e rappresentativa di tutte.

Proteste a Los Angeles, decine di arresti per violazione del coprifuoco

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Perché la California è un "santuario" per gli immigrati clandestini

 Alla base dell'invio di militari in California c'è dunque la "vecchia" avversione di Trump contro quelle che ha definito "le politiche scellerate" adottate dai Democratici locali, fin dal suo primo mandato presidenziale, per proteggere alcuni immigrati clandestini dall'espulsione. Il riferimento è a un disegno di legge del 2017 del governatore dem Jerry Brown, il California Values ​​Act, noto appunto come "legge santuario". Perché impedisce alla polizia statale e locale di indagare, interrogare o arrestare persone per fini di controllo dell'immigrazione e limita. La normativa apre tuttavia uno spiraglio che Trump tenta di sfruttare: non è vietata del tutto la cooperazione della polizia con i funzionari federali. In realtà la "santuarizzazione" della California è un percorso di più vecchia data. Nel 1979 la polizia di Los Angeles, con lo Special Order 40, vietò agli agenti cittadini di accertare lo status migratorio di una persona. Nel 1985 le autorità di San Francisco dichiararono ufficialmente la città un "santuario" per le persone che si vedono respingere la richiesta d'asilo dal governo federale. In seguito la stessa San Francisco passò a impedire alle proprie forze dell'ordine di collaborare con le autorità federali in materia d'immigrazione, soprattutto per identificare e arrestare i clandestini. Nel 2017, come detto sopra, la medesima normativa venne poi estesa all'intero Stato della California. Kevin De Leon, l'ex leader del Senato dello Stato e autore della legge, ha precisato come lo scopo della legge fosse chiarire, già all'epoca, che il governo centrale "non può arruolare la polizia locale come un ingranaggio nella macchina delle deportazioni di Trump".

Cosa dice (davvero) la legge sui "santuari" per immigrati negli Usa

 Il movimento dei "santuari" statunitensi risale agli Anni Ottanta, quando i rifugiati centroamericani erano in fuga dalla guerra civile. All'arrivo negli Usa venne loro negato l'asilo, spingendoli a cercare protezione dalla deportazione nelle chiese e in altri luoghi di culto. Oggi la "legge santuario" non si riferisce effettivamente a un luogo o territorio in cui gli immigrati possano cercare protezione. Vivere da soli in California non protegge di per sé dall'espulsione. La normativa chiarisce invece cosa le forze dell'ordine statali e locali in California possono o non possono fare in materia di immigrazione. Ad esempio, la legge stabilisce che la polizia locale non può trattenere o tenere in custodia qualcuno per più di 48 ore dopo la data di rilascio, solo per consentire la successiva azione dei funzionari dell'immigrazione. Di base, la legge santuario non limita ciò che il governo federale può fare in California. Per essere chiari, questo significa che l'Immigration Customs and Enforcement (Ice) degli Stati Uniti può ancora arrestare ed espellere chi viene trovato senza documenti in California e in altre "giurisdizioni rifugio".

La guerra di Trump è anche al modello economico californiano

 Oltre che in ambito sociale, la politica benevola verso gli immigrati irregolari ha avuto ricadute profonde sull'economia della California. Centinaia di migliaia di stranieri regolari e clanadestini hanno avuto infatti la possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro, generando circa un terzo del Pil dello Stato e versando tasse per oltre 8,5 miliardi di dollari. Dall'altro lato, si è registrato anche un sensibile aumento della criminalità. Un aspetto sottolineato con forza dall'amministrazione Trump, che ha criticato il "lassismo delle procure controllate dai Democratici" per migliaia di mancate espulsioni di individui finiti anche più volte in carcere.

La rottura certificata tra California e Trump

 I circa 11 milioni di immigrati entrati negli Usa dal Messico durante la presidenza Biden hanno aumentato la rabbia sociale degli americani profondi, intercettata magistralmente da Trump per la sua seconda elezione alla Casa Bianca. L'impronta isolazionista e la tolleranza zero manifestate dal tycoon hanno portato le città californiane a esasperare la propria posizione di aperta opposizione al governo centrale. Risultato: anche Los Angeles ha ufficializzato lo status di "città santuario".

L'inviato di Trump "contro" Los Angeles e California

 La decisione del comune di Los Angeles ha scatenato a sua volta il pugno duro dell'amministrazione Trump contro l'immigrazione irregolare. Pugno scagliato con forza proprio sulla metropoli californiana, anche prima dell'invio di truppe e delle ultime proteste. Volendo dare un messaggio all'intero Paese, il governo federale ha messo nel mirino il milione e mezzo di immigrati irregolari stanziati in California. Così il 2 aprile il Dipartimento di Giustizia americano ha nominato Bilal "Bill" Essayli procuratore capo del distretto centrale dello Stato. Una figura controversa e "mista": 39 anni, avvocato, deputato nel Parlamento di Sacramento, figura emergente del Partito Repubblicano, originario del Libano e apertamente musulmano, ma al contempo grande "fedele" di Trump nella stretta all'immigrazione. Neanche il tempo di insediarsi ed Essayli annuncia l'operazione Guardian Angel: uno scavo quotidiano da parte di agenti federali tra le liste degli arrestati locali, alla ricerca di stranieri destinatari di un ordine di espulsione. Nel caso venga trovato un clandestino, viene spiccato un mandato d'arresto federale che argina l'autorità della polizia californiana e che porta dritto all'allontanamento dal territorio nazionale.

Trump poteva inviare la Guardia nazionale a Los Angeles?

 Secondo Trump, i tempi erano maturi per una dimostrazione pratica della sua intransigenza contro Los Angeles. L'invio di duemila militari della Guardia nazionale per disperdere i manifestanti ha di fatto esautorato l'azione del governatore californiano. Si tratta di un potere che il presidente americano può ascriversi, appellandosi al titolo 10 dell'US Code (la raccolta delle leggi federali) in caso di "insurrezione contro l'autorità del governo federale". L'ultimo precedente risale al 1965, quando l'allora presidente Lyndon Johnson ordinò alla Guardia nazionale di proteggere la marcia di Martin Luther King per i diritti civili. Nel 1992, invece, la Guardia nazionale venne richiesta dal governatore della California proprio a Los Angeles per sedare disordini civili. Si trattava in ogni caso di un'ondata di violenza e vandalismo molto superiore a quella odierna.

Trump aveva ha già tentato di "battere" la California

 Vale la pena notare che Trump tentò una strategia simile già durante il suo primo mandato. Di pronta risposta, la California fece causa all'amministrazione federale 123 volte tra il 2017 e il 2021. Non solo in materia d'immigrazione, va detto, ma anche per questioni ambientali e di assistenza sanitaria. Memore di tutto questo, già prima di insediarsi alla Casa Bianca, il tycoon ha dato mandato al suo consigliere Stephen Miller di inviare lettere a centinaia di funzionari eletti in tutta la California, avvertendoli che avrebbero affrontato "conseguenze legali" se le loro politiche di asilo avessero interferito con leggi federali sull'immigrazione. Dall'altro lato della barricata, l'esperienza passata ha fatto sì che il Golden State si preparasse per tempo alla probabile (e ora reale) seconda ondata di repressione trumpiana. L'ufficio del procuratore generale Rob Bonta ha iniziato a preparare memorie legali mesi prima delle elezioni presidenziali. Il governatore Gavin Newsom ha chiesto una sessione legislativa speciale per "mettere la California a prova di Trump" e i Democratici locali hanno accettato di stanziare 50 milioni di dollari per combattere le decisioni del presidente in tribunale. Una mossa che i Repubblicani californiani hanno denunciato come un "fondo nero per scontri ipotetici". Trump ha perso più di due terzi delle cause intentate contro le sue regole durante il suo primo mandato. Il suo tasso di successo del 31% è stato inferiore a quello delle tre amministrazioni precedenti, secondo un'analisi dell'Institute of Policy Integrity della New York University School of Law.

CalExit, il progetto indipendentista della California

 La rottura della California col canone nazionale incarnato da Trump si configura anche nel progetto di referendum per la CalExit, la secessione del Golden State dagli Usa. Un vero problema per l'unità e la tenuta del Paese. Perché la California non è solo il più popoloso e ricco Stato americano e la roccaforte del progressismo liberal, ma con la Silicon Valley rappresenta anche il motore dell'innovazione tecnologica nazionale. Il sito web del "Ca Independence Movement" conta finora oltre 210mila firme. L'obiettivo di Marcus Ruiz Evans, uno dei fondatori nel 2015 del comitanto indipendentista "Yes California", è di raccoglierne 546.651 entro luglio. Più una mossa di propaganda che altro, visto che il divorzio dagli Stati Uniti è formalmente impossibile. Lo sarebbe infatti soltanto in due casi: rivoluzione o consenso da parte di tutti gli altri Stati.

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