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L'agenda politica del presidente degli Stati Uniti Fiscal cliff e debito pubblico:i nodi da sciogliere

Ma anche politica estera con lʼincubo di Iran e Siria: gli impegni del secondo mandato di Obama

Ansa

Quattro anni ancora e "il meglio deve ancora venire": sono le prime parole del neoeletto presidente Usa, che non potrà festeggiare a lungo la vittoria. Neanche il tempo di stabilizzarsi nuovamente alla Casa Bianca, infatti, che Obama dovrà risolvere problemi molto importanti. Il primo nodo da sciogliere nell'agenda politica del presidente è il cosiddetto "Fiscal cliff". Ma non solo, bisognerà affrontare anche debito pubblico e politica estera.

FISCAL CLIFF E DEBITO PUBBLICO
Obama dovrà provare a trovare un'intesa con il Partito Repubblicano che possa impedire il fiscal cliff, (il baratro finanziario legato all'alto debito e all'aumento delle tasse a cui gli Usa potrebbero andare incontro se non verrà entro fine anno trovato un accordo sui tagli alla spesa pubblica e aumenti fiscali da 600 miliardi di dollari che dovrebbero scattare dal primo gennaio 2013) . Sarà necessario un nuovo dialogo bipartisan, che è mancato del tutto negli ultimi due anni (il Congresso è a maggioranza repubblicana anche in questo nuovo mandato). Questo problema è legato strettamente a quello della stabilizzazione del debito con le agenzie di valutazione che hanno già messo nel mirino il rating americano.

POLITICA ESTERA
Il mondo è pieno di crisi irrisolte che hanno bisogno di un intervento deciso e determinato da parte di una comunità internazionale da troppo tempo impantanata nello stallo del Consiglio di sicurezza dell'Onu, nella mancanza di volontà comune. Dalla Siria al nucleare iraniano, dall'eterno nodo israelo-palestinese ai tormenti della Primavera araba, dalla lotta al terrorismo internazionale al ritiro dall'Afghanistan, dai rapporti con la Cina ai cambiamenti veloci della globalizzazione: i giudizi finali sugli otto anni di Obama alla Casa Bianca passeranno anche dall'atteggiamento che gli Stati Uniti saranno capaci di tenere nei confronti di questi temi caldi. Lo spirito kennediano di questi giorni potrà tornare molto utile a Obama. L' ispirazione è fondamentale. Adesso servono la forza di andare avanti senza timori e ripensamenti e il coraggio di osare senza tentennamenti.

IMMIGRAZIONE
La differenza, tra Obama e Romney, l'hanno fatta alla fine i "latinos" d'America, gli immigrati di Cuba, Portorico, Messico, Ecuador e Bolivia che rappresentano negli Usa ormai il 10% dell'elettorato. Con una percentuale record la decisione dei latino-americani ha infatti scelto il presidente Usa con il 72% a fronte di un solo 23% a favore del candidato repubblicano. In Colorado in particolare l'87% dei latinos ha scelto Obama, e così 80% nel Nevada, il 77% in New Mexico e l'82% nello stato dell'Ohio, ago della bilancia fino all'ultimo. Tra i motivi della preferenza dei latino americani per Obama sicuramente la priorità data a Obama al tema dell'immigrazione nonché la tanto discussa riforma sanitaria, mirata soprattutto a garantire ai cittadini meno abbienti un'assistenza medica: nel 2011 infatti oltre il 40% della popolazione di origine migratoria era senza copertura sanitaria. Ma anche grazie alla "Dream act": con il quale gli immigrati di seconda generazione possono avere il permesso di soggiorno e uno status legale (a differenze dei loro genitori) se vanno al college o entrano nell'esercito. Nel complimentarsi con Obama tutti i leader dei Paesi dell'America Latina non hanno mancato dal sottolineare il loro "sostegno" alla vittoria.