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Isis, Foley e altri ostaggi Usa torturati con il metodo del waterboarding

Il "Washington Post" ha rivelato che i jihadisti hanno praticato sui prigionieri la stessa tecnica usata dalla Cia sui prigionieri della guerra al terrorismo

james foley isis iraq
dal-web

Almeno quattro ostaggi occidentali nelle mani dell'Isis sono stati torturati con la tecnica del waterboarding, la stessa usata da Cia sui prigionieri della guerra al terrorismo. Lo hanno riferito al "Washington Post" "persone a conoscenza del trattamento dei sequestrati". Tra i quattro che sarebbero stati sottoposti "parecchie volte" al metodo di tortura che simula l'annegamento ci sarebbe stato James Foley, il giornalista americano poi decapitato.

I quattro sarebbero stati sottoposti "parecchie volte" al metodo di tortura che simula l'annegamento, hanno detto le fonti al quotidiano della capitale. Foley è stato decapitato la scorsa settimana da miliziani dello stato islamico.

Le vittime del waterboarding sono usualmente legate su lettini mentre viene versata acqua fredda su un panno che copre loro il volto. La sensazione è quella dell'annegamento perché "il panno bagnato crea una barriera attraverso cui è difficile, talora impossibile, respirare", si legge in un memo del 2005 del Dipartimento della Giustizia sulla tecnica usata dalla Cia.

Usato dall'agenzia di intelligence nelle sue prigioni segrete per ben 183 volte su Khalid Sheik Mohammed, il cervello dell'11 settembre, e ripetutamente su Abu Zubaida e Abd al-Rahim al-Nashiri, il waterboarding è stato condannato dal presidente Obama come una forma di tortura. L'Fbi, a cui è affidata l'inchiesta sulla morte di Foley e i rapimenti di altri americani in Siria, non ha voluto fare commenti, e così anche la Cia.

I critici di questo metodo di interrogatorio da tempo avevano messo in guardia che rischiava di esporre americani al pericolo di fare la stessa fine se caduti in mani nemiche. Parole che si sono rivelate profetiche: "L"Isis sa esattamente come farlo", ha detto la persona citata dal Washington Post "a diretta conoscenza di quel che è successo agli ostaggi" detenuti a Raqqa. La fonte ha accettato di parlare a condizione di rimanere in anonimato.