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Donne senza utero né vagina lanciano petizione: "E' una malattia rara"

La sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser interessa una bimba su 4mila. Sono un centinaio le italiane colpite: hanno fondato unʼassociazione

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La sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser è una condizione congenita che impedisce la formazione di organi sessuali nelle donne e, di conseguenza, la possibilità di poter avere figli naturali.

In Italia sono circa un centinaio le pazienti "colpite", le quali si sono riunite in un'associazione nazionale e hanno proposto una petizione per chiedere al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, l'inserimento della patologia nell'elenco delle malattie rare.

La malattia

- La sindrome è caratterizzata dalla malformazione o dalla mancanza congenita dell'utero e della porzione superiore della vagina. La Mrkh può essere isolata, di tipo I. In maniera più frequentemente, però, essa si associa a difetti renali, vertebrali e, più raramente, a disturbi dell'udito e del cuore, configurandosi come sindrome di tipo II. In entrambi i casi l'impossibilità di riprodursi è legato a un "errore" che avviene durante lo sviluppo dell'embrione.

La petizione

- La raccolta firme per il riconoscimento dello status di patologia rara per la sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser è partita a ottobre 2014. La speranza delle donne dell'associazione ANIMrkhS è che il ministro Lorenzin "risolva" la loro situazione. Attualmente le sottoscrizione sono circa 1.500.

"Siamo donne rare"

- L'appello per il riconoscimento della patologia da parte del Servizio sanitario nazionale è partito da Maria Laura Catalogna, affetta dalla cosiddetta "sindrome di Roki" e promotrice dell'associazione. In un'intervista rilasciata al sito de "L'ultima ribattuta", la donna spiega come la situazione legislativa italiana penalizzi le "Roki" - come chiama le donne che, come lei, sono interessate dalla sindrome - in termini di sostegno economico e umano. "Vorrei che il Sistema Sanitario Nazionale ci supportasse nelle visite che facciamo annualmente- dichiara - visite ginecologiche, ecografie o più semplicemente analisi del sangue e delle urine. Esami che potrebbero essere esentati dal pagamento del ticket".

Maria Laura insiste su un punto in particolare: l'informazione. "Quando ho ricevuto la diagnosi, da adolescente - racconta - ho passato diversi mesi in uno stato di grande confusione: non capivo bene di che cosa si trattasse e spesso neanche i ginecologi erano ben informati". Dalle sue parole si evince che la conseguenza più dura da affrontare per le affette dalla sindrome di Roki sia l'impossibilità di diventare mamme. Oltre all'adozione, però, l'unica speranza di poter avere figli è legata a una pratica complicata e molto costosa: la crioconservazione degli ovociti. Una pratica che, spiega Maria Laura, "in Italia non è prevista per le donne con questa sindrome. Bisognerebbe dunque andare all'estero, dove sarebbe possibile anche magari l'opzione dell'utero in affitto".