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Mosul, il dramma e il futuro incerto dei "figli del Califfato"

Con la caduta dello Stato Islamico, emerge la questione dei neonati mai dichiarati alle autorità né registrati per timore dei genitori a conflitto finito, di essere tacciati come "collaborazionisti"

Mosul, roccaforte dello Stato Islamico, ormai ha i giorni contati.

Resta ancora da capire, però, quale sarà il futuro delle vite "sopravissute" agli orrori del Califfato. In particolare resta da capire che destino attende decine di migliaia di bambini rimasti orfani: sono i figli del Califfato, concepiti tra miliziani e miliziane e mai registrati, concepiti con foreign fighters o portati al fronte da genitori arruolatisi per il jihad. E' il quesito che si pongono diversi media arabi che temono un "esercito di apolidi, senza patria, senza rifugio e senza alcuna nazionalità", come titola la tv satellitare al Jazeera.

Secondo una stima fatta da un istituto di ricerche sull'estremismo, nel periodo tra agosto 2015 e febbraio 2016 c'erano più di 30mila donne incinte nella sola città di Mosul con un conseguente numero altissimo di parti. Il problema è che tanti di questi bambini non sono stati dichiarati alle autorità del Califfato né registrati per timore dei genitori, una volta finito il conflitto, di essere tacciati come "collaborazionisti" dei terroristi.

Inoltre, Al Jazeera evidenzia il fenomeno dei bambini concepiti da donne del posto con i "foreign fighters", che poi magari sono rimasti uccisi in battaglia. Senza contare i veri e propri "figli del Califfato" ossia quei bambini nati dalla relazione o dai matrimoni combinati tra uomini e donne europei in Iraq e Siria per combattere il jihad dell'Isis. E ancora: che fine faranno i bambini "già grandi" portati via dal Paese d'origine da genitori arruolatisi per lo Stato Islamico. Prendiamo la Francia: secondo Parigi sarebbero 400 i bambini di nazionalità francese tra Siria e Iraq, metà sono stati portati via da uno o da entrambi i genitori e metà nati sul posto e che hanno dunque meno di quattro anni. 

Balquis Wael, ricercatrice che collabora con Human Rights Watch, ritiene che la questione più complicata che dovranno affrontare i "bambini del Califfato" è il problema della mancanza di documenti d'identità. Molte amministrazioni irachene hanno rifiutato di registrarli a causa del fatto che sono nati da padri combattenti dell'Isis. 

Ci sarà anche da chiarire come avverrà il loro reinserimento nel loro contesto di origine: effettivamente, la maggior parte di essi ha subito dei pesanti indottrinamenti "jihadisti" negli ultimi anni, senza contare i danni psicologici che si porteranno dietro dopo aver vissuto in zone soggette a privazioni, persecuzioni e bombardamenti.

Ma con la caduta finale di Mosul, emerge soprattutto l'inquietante domanda se l'Isis risparmierà la vita ai bambini della città oppure vorrà usarli, un'altra volta, come bombe o scudi umane per fermare l'esercito iracheno.