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Le mosse della BCE per rilanciare l'economia dell'Eurozona

Francoforte sta acquistando obbligazioni bancarie garantite. E cʼè chi pensa anche al “quantitative easing”

mario draghi bce, personaggi
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La possibilità che la Banca centrale europea (BCE) metta in campo "interventi non convenzionali" per arginare la crisi economica cela un duplice obiettivo: da un lato l'intenzione di impiegare misure straordinarie per tenere stabile il livello dell'inflazione, dall'altro ricordare ai governi che lo stimolo alla crescita deve passare per l'impegno dei singoli Stati nella realizzazione di riforme strutturali.

La situazione economica dell'Unione europea non è delle migliori. Se in Italia la produzione industriale ha registrato ad agosto un lieve accenno di ripresa (+0,3%), in Francia è stabile più o meno sul livello italiano (0,3%), in Germania – e qui sono arrivate le maggiori preoccupazioni – l'indicatore ha subìto una diminuzione del 4%, con gli analisti che hanno paventato un pericolo recessione. E, si sa, se Berlino ha il raffreddore, l'Europa rischia la polmonite.

Il principale calo della produzione industriale tedesca deriva dal crollo dei beni d'investimento (-8,8%), ma il guaio per Berlino è che ad agosto hanno frenato soprattutto le esportazioni (-5,8%). Un doppio campanello d'allarme, insomma, se si considera che l'economia tedesca è perlopiù dipendente dall'export e troppo poco dalla domanda interna: un'elevata diseguaglianza dei bilanci commerciali tra i partner europei non assicura stabilità all'Eurozona.

Si tratta, in soldoni, di un circuito non virtuoso che rischia di mettere un blocco alla crescita e a quanto le gravita intorno (disoccupazione, salari, consumi delle famiglie...). Ecco perché la BCE, che dal 4 novembre ha assunto la vigilanza unica sui 120 maggiori istituti di credito dell'Eurozona, può giocare un ruolo importante. Di un intervento mirato si parla già da un po'. Intanto da alcune settimane ha cominciato ad acquistare obbligazioni bancarie garantite (covered bond, spendendo al momento 4,779 miliardi di euro), ovvero obbligazioni con un profilo di rischio basso, ma in tanti pensano a qualcosa di più incisivo (altri temono) come il quantitative easing.

Attraverso il quantitative easing viene “creata moneta” dalle banche centrali con lo scopo di acquistare titoli di Stato. Di norma si mette in pratica tale procedura – una strategia finalizzata a stimolare l'economia – quando i tassi di interesse sono vicini allo zero. Negli Stati Uniti il quantitative easing ha un impatto diretto sull'economia reale, in particolare su imprese e occupazione. L'ultima operazione, la terza (la prima cominciò nel 2008 quando alla guida della Federal Reserve c'era Ben Bernanke), si è conclusa alla fine di ottobre ed è servita ad "iniettare" nuova liquidità. Non è tuttavia da scartare l'ipotesi che, con la maggioranza conquistata al Congresso (ora anche al Senato), il Gop possa richiedere di ridimensionare le politiche monetarie della Fed.

Lo strumento, ad ogni modo, è utile a contrastare la deflazione – ricordiamo che è nelle prerogative di Francoforte conseguire un tasso di inflazione appena inferiore al 2% – grazie alla maggiore circolazione di moneta. Le banche ne gioverebbero, scongiurando il solito pericolo del credit crunch (ad esempio per quanto riguarda la concessione di mutui, piuttosto difficoltosa). Ne gioverebbero, non da ultimi, i consumatori che potrebbero contare su una migliore capacità di spesa. Aumenterebbero, inoltre, le possibilità di investimenti e si registrerebbero migliori andamenti nell'export, possibilmente diminuendo lo squilibrio tra partner commerciali.

In verità la BCE non sarebbe nuova all'adozione di "misure non convenzionali". Già nel 2011, e di nuovo nel 2012, attraverso l'operazione LTRO (Long Term Refinancing Operation) assegnò dapprima 489 miliardi alla banche (la cifra più alta fu destinata agli istituti italiani e spagnoli) allo scopo di rifinanziare il loro debito al tasso dell'1% per tre anni e di 529,53 miliardi nella seconda occasione. Tuttavia all'epoca queste misure ebbero uno scopo diverso. Non servirono tanto a incentivare i prestiti ai privati, quanto a contenere gli spread che all'epoca si attestavano su quote vertiginose. Ad ogni modo l'dea che la BCE possa rinvigorire il proprio raggio d'azione è stata auspicata di recente anche dalla numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, la quale ha suggerito in questo senso una posizione più netta contro la stagnazione dell'Eurozona.