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L'Italia nelle canzoni di Battisti

Esce "Lucio-Ah", il nuovo libro di Massimo del Papa: Tgcom ne parla con lʼautore

Ansa

"Eppur mi son scordato di te", cantavano i Formula 3, in un brano frutto della geniale sinergia Battisti/Mogol (rimasto impresso nell'immaginario collettivo per il surreale verso: ".

..salame dai capelli verde rame..."). L'oblio, in effetti, difficilmente potrebbe mai cadere su Battisti, che ha impregnato così profondamente la musica italiana, avvalendosi sia di Mogol come paroliere sia, nell'ultimo periodo, ingiustamente meno conosciuto, di Panella.

Esce ora per Meridiano Zero un nuovo libro dedicato al cantautore: "LUCIO – AH, le stagioni italiane nelle musica di Lucio Battisti", scritto da Massimo Del Papa, giornalista della rivista "il Mucchio Selvaggio", già autore di libri su Renato Zero e Keith Richards.
In esclusiva per Tgcom, ecco l'intervista con l'autore e un breve stralcio del libro.

Perché un libro su Battisti? Come l'hai impostato?
Scrivo solo di ciò che mi piace. Battisti fa parte della mia storia personale da sempre. Mi è sempre piaciuta la musica emozionale, che suscita sensazioni immediate, senza i filtri dell'impegno politico diretto. Questo libro è una piccola storia d'Italia per immagini, un patchwork riletto alla luce delle sue canzoni.  Resto convinto che questo italiano così "anti-italiano", schivo, ostico, alieno da ogni esibizionismo, perfino antipatico, sia stato il più bravo ad interpretare le emozioni, personali e collettive, degli italiani. Un uomo duro, definito spesso arido, che ha saputo parlare alla gente della gente; ha saputo, in particolare, tracciare un futuro possibile un attimo prima che arrivasse. E' per il tramite delle sue musiche, illustrate da Mogol, che gli italiani imparavano come avrebbero amato, litigato, parcheggiato la macchina, insomma vissuto dall'indomani. Battisti penso sia un mito per i cinquantenni, come me, ma le fasce più giovani lo stanno perdendo: così questo è un libro rigoroso, ma anche emotivo: da emozione a emozione. La mia editor, Valentina Petracchi, di Meridiano Zero, è una ragazza assai più giovane rispetto a me, molto preparata, ma, ovviamente, su figure e riferimenti più omogenei alla sua generazione. Seguendo le bozze mi ha detto: "Mi hai fatto venire voglia di conoscerlo, Battisti". E ha finito per amare particolarmente "Il nostro caro angelo" e "Anima latina". Spero che lo stesso succeda ai lettori. 

Se dovessi definire un erede odierno di Battisti, chi sceglieresti?
Battisti non lascia eredi. Ha influenzato tutti, ma il punto è questo: non ha successori, in alcun senso. Non per la capacità compositiva, non per il rigore, non per l'integrità, non per l'approccio al suono. Perché era anche un grande musicista, un musicista puro, tutto puntato sull'aspetto produttivo dei suoi album.
Quale periodo preferisci, quello con Mogol o quello con Panella?
Il periodo d'oro è quello con Mogol, per tante ragioni. La simbiosi tra i due è durata per un periodo inusualmente lungo. C'era la capacità di realizzare capolavori perfettamente miscelati fra musica e parole: queste erano di Giulio, ma diventavano parte della sensibilità di Lucio, e Battisti stesso ha più volte sostenuto che egli cantava le parole che avrebbe scritto lui, se ne fosse stato capace.
I due hanno attraversato, con sensibilità e capacità di mimesis unica, un periodo cruciale sia a livello sociopolitico che artistico-musicale: i '70 sono stati anni ribollenti a tutti i livelli. Attraverso i loro dischi, Mogol-Battisti hanno lasciato un patrimonio di storia popolare ancora adesso fondamentale per percepire certe atmosfere, certi riti collettivi, certi modi di pensare, insomma la società del tempo.
Con Panella è un'altra storia, e peraltro considero almeno due album di valore assoluto: "Don Giovanni" e "L'Apparenza", sono opere che resteranno, in modo diverso. Ma lì c'era già un'astrazione, c'erano giochi, invenzioni verbali e lessicali cui Battisti faceva aderire la musica. Era cominciato quel percorso di isolamento, di avulsione da tutto. Gli ultimi tre dischi invece non sono mai riuscito ad apprezzarli, penso che vivano di una intuizione sola, la consapevolezza che tutto si stava destrutturando, deteriorando. Mi paiono lavori che riflettono sì una fase di involuzione complessiva, anticipatrice della globalizzazione, ma forse più per eterogenesi dei fini che per altro. Non so se l'operazione, da parte di Battisti, fosse voluta. Non so se ci fosse, alla base, lo stesso calcolo polemico di un altro geniale compositore scomparso prematuramente, Frank Zappa, che con l'ultimo "Civilization phase III", uscito postumo, raffigurava un immaginario gelido, computerizzato, a simboleggiare l'irreversibilità del decadimento sociale, culturale, spirituale. 
 
Tra tutte, qual è la canzone di Battisti che ami di più?
La canzone che preferisco cambia in ragione delle mie età. A rotazione, le ho preferite tutte, e tutte le amo. C'è un introduzione, nel libro, che racconta di come abbia perso la "verginità morale", ascoltando alle quattro di mattina "Ancora tu" che usciva da un'autoradio. Dopo quella meteora sonora, fui diverso, meno bambino e più uomo. 


NELLA PAGINA SEGUENTE UN BREVE ESTRATTO DAL LIBRO

Emozioni, poi, è ancora qualcosa di più. Che va oltre.
È forse, diciamo forse, il momento che si assume il pesante fardello di mettersi in cima a un canzoniere irripetibile, spaventoso non per quantità ma per qualità.
C'è una sorta di compenetrazione tra la musica, le parole, la voce, l'atmosfera, che rende meravigliosa la disperazione. Perchè, fin dal primo ricamo di chitarra acustica, è di disperazione che si tratta. Quella dell'uomo che si riscopre solo al mondo, e al quale tutto pesa, perfino la serenità. Perfino il volo di un airone che ti trasporta con sé nel suo volo. Perfino il tappeto soffice dell'erba su cui ascolti “un sottile dispiacere”.

C'è lo sgomento di fronte alla vita offesa dall'ombra della morte. Sono 5 minuti ma sembrano un attimo, cinque giri di lancetta in cui è impossibile non riconoscersi. Ed è la rarissima condizione per cui il risultato va oltre la somma di singole parti, ciascuna delle quali perfetta di per sé. Forse nessuno ha mai osservato che questa canzone sontuosa è fatta di misura, di sussurri, di essenzialità.

Tutto ha il suo peso, ogni componente è valorizzata senza sovrapporsi alle altre; si può apprezzare la linea degli archi come il tappeto ritmico, soffuso. Si possono seguire i ceselli delle chitarre.
Si può cogliere l'intensità della voce di un Battisti che in quel momento è proprio da un'altra parte, su un altro pianeta, dal quale poi fatica a scendere. Ci si può perdere nel flusso di... emozioni cangianti, che sembrano tratteggiate per ogni uomo sulla terra. E alla fine resta un trasalimento che conforta e ferisce, la sensazione, meravigliosa e terribile, che siamo proprio soli, ombre di noi stessi, chiusi in un sentimento che è come una camicia di forza che sta dentro di noi: per quanti sforzi possiamo fare, non potremo mai lacerarlo, uscirne, trasmetterlo agli altri.
Emozioni è l'inarrivabile esempio di poesia sublime che è per tutti, ma inevitabilmente diversa per ciascuno.