Attacco Usa all'Iran, i concitati momenti dalla operation room
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Gli Stati Uniti detengono otto basi permanenti in sette Paesi, dall'Egitto agli Emirati Arabi. I pasdaran: "Ogni cittadino americano nella regione è un obiettivo". Quali pericoli corrono le strutture Usa e come potrebbe reagire Teheran
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L'attacco americano all'Iran rischia di mettere nel mirino di Teheran gli oltre 40mila soldati americani stanziati nelle basi americane in Medioriente. Secondo gli esperti, la Repubblica Islamica risponderà all'offensiva su tre dei suoi siti nucleari e le truppe a stelle e strisce sono le più esposte. Rischia molto anche lo Stretto di Hormuz, dal quale transita un terzo del petrolio mondiale e che l'Iran ha già minacciato di chiudere. Anche se una delle eventualità è che i pasdaran possano minarlo, costringendo la marina militare statunitense a un'operazione lunga e pericolosa per rimuovere gli ordigni. "Ogni cittadino americano nella regione è un obiettivo legittimo ora", ha tuonato la tv di Stato iraniana.
Le "due settimane" preventivate da Donald Trump per decidere se sostenere o meno Israele nella sua guerra contro l'Iran sono diventate "due giorni". Il presidente americano era stretto tra la necessità strategica di affossare il programma nucleare iraniano e il non impegnarsi direttamente nel conflitto. Un Medioriente in cui Israele non sia egemone non è pensabile per Washington. Come avevamo previsto in uno dei cinque scenari possibili dopo l'escalation, la maggior parte degli apparati era d'accordo in un coinvolgimento limitato degli Stati Uniti, nella modalità più utile e "rapida": bombardare i siti nucleari più importanti della Repubblica Islamica con gli ordigni bunker-buster come la GBU-57. Al momento, i dubbi superano ancora le certezze: la "scadenza delle due settimane" per i negoziati era una finta? Un tentativo di indurre gli iraniani a un falso senso di sicurezza nel fine settimana? O i negoziati dietro le quinte, guidati dal pacificatore designato da Trump, Steve Witkoff, sono falliti? Si sa poco dell'immediato dopo gli attacchi, ma il messaggio di Trump sui social sembra confermare la volontà di de-escalation, e non di scelte definitive come il cambio di regime in Iran: "È il momento della pace".
Gli Stati Uniti contano in Medio Oriente otto basi permanenti in sette Paesi: Egitto, Kuwait, Bahrain, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. In quest'ultimo si trova la struttura militare più grande, quella di Al Udeidche, che ospita più di 10mila soldati ed è la sede del Us Central Command. La base ha ricoperto un ruolo strategico nelle operazioni in Iraq, Afghanistan e Siria. In Bahrain c'è invece la Naval Support Activity, mentre il Kuwait ospita Camp Arifjian, essenziale per il supporto logistico. Al-Dhafra, negli Emirati Arabi Uniti, è strategica per la raccolta di informazioni di intelligence e il sostegno offerto alle operazioni di combattimento aereo. Il sito ospita i Raptor-22 e molti droni. La base di Erbil, in Iraq, è infine usata per le operazioni nel nord dell'Iraq e in Siria.
La volontà americana di prendere tempo per valutare l'intervento contro l'Iran era figlia dei rischi paventati dal Pentagono e dall'intelligence. Una minaccia che gli Stati Uniti non potevano e non possono prendere alla leggera - da qui l'intenzione di "colpire e andar via" - non solo a causa del temibile arsenale iraniano, ma anche perché le forze americane sono profondamente radicate e geograficamente esposte nella regione. Teheran vanta un vasto arsenale di missili balistici e da crociera in grado di colpire tutte le principali basi statunitensi nel Golfo, in Iraq e nel Levante. I funzionari americani hanno ammesso che alla Repubblica Islamica basterebbe poca preparazione aggiuntiva per lanciare attacchi contro queste basi. Già prima dell'intervento diretto degli Usa, l'intelligence aveva paventato che un attacco americano avrebbe potuto spingere l'Iran e i suoi alleati a prendere di mira non solo le basi militari, ma anche le rotte commerciali ed energetiche nello Stretto di Hormuz. L'Iran dispone inoltre di una rete di milizie alleate in tutta la regione, non ancora debellate del tutto, che potrebbero essere mobilitate per colpire gli interessi statunitensi.
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Se le ostilità dovessero intensificarsi, si prevede che gli Houthi riprenderanno gli attacchi sulle rotte commerciali del Mar Rosso. I più recenti missili ipersonici dell'Iran, come il Fattah-1, hanno suscitato preoccupazione tra le potenze occidentali in merito alla sua strategia militare. Questi missili sono progettati per eludere i sistemi di difesa aerea. Se utilizzati assieme a sciami di droni e missili balistici, possono saturare persino scudi difensivi sofisticati come quello israeliano. Nonostante gli sforzi di intercettazione di Stati Uniti e Israele, un numero significativo di missili iraniani ha raggiunto i propri obiettivi durante la recente escalation. Molto dipenderà dall'entità dei danni che l'attacco americano ha inflitto ai siti nucleari iraniani. E dall'intensità dei bombardamenti che Israele dovrà proseguire per impedire una forte risposta da parte di Teheran.