Dall'esercito ai missili, dalle navi agli aerei: arsenali a confronto tra Israele e Iran
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La Repubblica Islamica è stata colpita al suo cuore nucleare e militare, ma deve anche affrontare profonde fratture interne. E decidere se proseguire nella guerra aperta o riaprire un pur debole dialogo. Tra giovani laici e dissidenti monarchici: uno sguardo nella Persia di oggi
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Il leone è ferito, ma non è andato giù. Le operazioni israeliane che hanno colpito il cuore nucleare e militare dell'Iran non hanno impedito la risposta di Teheran. Era questa la prima di molte scommesse pericolose da parte di Israele. Botta, risposta, controbotta e controrisposta. Da un lato la grande potenza nucleare del Medioriente foraggiata dagli Stati Uniti, dall'altro un'antica potenza indebolita che nessuno sa davvero se ha ottenuto la bomba atomica. Esattamente come Israele, fiaccato da mesi e mesi di guerra efferata e da tensioni politiche, anche l'Iran è lacerato al suo interno. La sua situazione appare anzi ancora più estrema. E quando un leone ferito è costretto all'angolo, (non) si sa come può andare a finire. La Repubblica Islamica è dunque a un bivio storico, al punto che a breve potrebbe non essere più Islamica e forse neanche Repubblica. Il contrattacco sferrato a Israele è la maggiore operazione militare compiuta dai tempi della Guerra in Iraq. E non si sa quanto potrà davvero durare.
A differenza degli attacchi "telefonati" di un anno fa, ora l'Iran è davvero a una scelta esistenziale: riaprire un pur debole dialogo o gettarsi nella guerra totale. A giudicare dai contrattacchi contro Israele, la scelta sembra presa. Ma non c'è abbastanza fiato per continuare a lungo questa corsa. Dopo il 7 ottobre 2023 la Repubblica islamica si è trovata di fronte un nemico israeliano che ha mutato postura, abbandonando la "dottrina della piovra" e la tattica della "morte per mille tagli" in favore di attacchi diretti, ponendosi come un antagonista imprevedibile e intransigente. Una svolta spiazzante per gli iraniani, convinti che le difficoltà nello sconfiggere definitivamente persino la "modesta" Hamas nella Striscia di Gaza e la crescente condanna per le migliaia di morti palestinesi avessero relegato Israele in un angolo. Teheran sperava inoltre che gli Stati Uniti avrebbero a un certo punto frenato il loro imbizzarrito protetto mediorientale. Come se non bastasse tutto questo, la Repubblica Islamica si è trovata fare i conti al suo interno con uno scontro generazionale non soltanto sfociato nelle proteste di strada, ma pompato anche all'interno delle élite politico-militari. Un'autentica spinta secolarista, portata avanti da almeno due generazioni contrarie alla rigidità teocratica del regime sciita.
Oltre che un colpo al programma nucleare e alle Forze armate, l'attacco totale israeliano ha mutilato anche il prestigio della potenza persiana. Al punto da auspicare la possibile caduta del regime degli ayatollah, sotto gli strali di una popolazione e di una gioventù (tra le più attive e con bassa età media del mondo intero) stanchi di umiliazioni, sanzioni e devastazione. Teheran ha reagito e tenterà di reagire a oltranza, ma la tempistica dell'attacco israeliano è probabilmente legata al fatto che le opzioni di ritorsione della Repubblica Islamica sembrano ridotte rispetto agli ultimi anni. Prima dell'attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, che ha scosso la regione, l'Iran si affidava principalmente a tre strumenti per scoraggiare e minacciare Israele, gli Stati Uniti e altri nemici:
È probabile che l'Iran utilizzi ancora questi strumenti, ma Israele scommette nuovamente sul fatto che la potenza persiana sia più debole che in passato e che il costo che infliggerà sarà gestibile. E, ancora, che Teheran non sia in grado di sostenere un conflitto prolungato.
Le operazioni israeliane, a lungo meditate, hanno colpito i due elementi più minacciosi per Tel Aviv e la nuova rete di alleanze che cerca di costruire nella Penisola Arabica: il programma nucleare e l'esercito. Non colpendo soltanto i siti di arricchimento dell'uranio e di sviluppo degli ordigni, ma anche scienziati e addetti del programma nucleare iraniano. Di più: a differenza dei raid del 2024, in cui pure sono stati uccisi alti ufficiali dei Pasdaran, i nuovi attacchi israeliani hanno voluto umiliare la potenza iraniana conducendo operazioni sotto copertura direttamente in territorio nemico. I vertici delle Guardie della Rivoluzione sono stati decimati, tra cui il comandante della Forza Quds Esmail Ghaani e altri tre generali. Un'operazione mirata, compiuta allo scopo di indebolire la successiva risposta militare iraniana.
Come abbiamo già spiegato, l'obiettivo principale di Israele è impedire che il riarmo nucleare dell'Iran. Un riarmo che, secondo Tel Aviv, ha già raggiunto un punto di non ritorno. Probabilmente un pretesto, visto che nessuno conosce l'effettivo livello di arricchimento dell'uranio registrato dall'Iran. L'Aiea stessa ha concluso che il Paese è andata oltre i livelli previsti, ma non ha mai fornito cifre certe, tantomeno vicine alla soglia del 90% necessaria alla realizzazione della bomba atomica. Si conosce però molto bene dove viene arricchito l'uranio in Iran. E non a caso è stato ucciso anche il capo dell'agenzia atomica persiana. I bersagli maggiori dei missili israeliani sono stati i siti nucleari di Fordow e Natanz, i veri motori del programma atomico di Teheran. Il primo è una centrale sotterranea costruita nelle viscere della montagna, ed è forse il vero centro dello sforzo iraniano di ottenere l'ordigno. Negli anni le autorità sciite hanno spostato in questo luogo attrezzature e scienziati perché lo consideravano impenetrabile, a prova d'attacco. E in parte è così: per riuscire a distruggere il sito di Fordow, le Idf dovrebbero utilizzare armi e aerei molto potenti, prodotti dagli Stati Uniti. Una mossa che coinvolgerebbe direttamente Washington nella guerra, senza possibilità di bluff, e che determinerebbe una risposta ancora più dura da parte di Teheran. Con tanto di allargamento del conflitto. Una cosa sembra più certa delle altre, anche secondo gli esperti: l'offensiva israeliana non cancellerà le conoscenze e le capacità nucleari dell'Iran.
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Il nome "Rising Lion" che Israele ha dato all'operazione contro l'Iran non è stato scelto solo per un astratto riferimento alla Persia degli Scià, poi caduta con la Rivoluzione Islamica del 1979. Lo Stato ebraico ha voluto mandare un messaggio preciso sia agli ayatollah sia ai dissidenti politici all'interno del Paese: dopo questa umiliazione, il regime deve cadere. Lo stesso Netanyahu si è rivolto al popolo iraniano ricordando che una volta (quando c'era il re, appunto) i due Paesi erano amici e che il vero nemico è il regime sciita. Il leone unito al sole che sorge è infatti il simbolo sventolato in piazza dai monarchici iraniani, cioè coloro che vogliono il ritorno a una monarchia non legata ai dettami dell'Islam. All'interno dell'Iran c'è infatti una forte spinta al rinnovamento dei vertici del governo, soprattutto dopo la morte del presidente Ebrahim Raisi il 20 maggio 2024. Da anni le fibrillazioni intestine hanno coinvolto la società soprattutto nelle fasce più giovani. E i giovani dell'Iran sono davvero giovani: il 60% della popolazione ha meno di 30 anni, l'età media è di 33 anni.
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Il discorso potrebbe sembrare astratto o poco influente, ma nell'ottica di un impero antico e ancora velleitario è uno dei fattori cruciali per capire cosa sta succedendo. Intanto diciamo che gli iraniani hanno un loro modo di chiamare e scandire le generazioni, rifiutando lo schema occidentale di Generazione X, Z e via dicendo. La Gen Z, ad esempio, la chiamano nasleh zed. I giovani e i giovanissimi iraniani si oppongono alla sharia degli ayatollah, vogliono un Paese laico ma - attenzione - ben poco pacifista. La stragrande maggioranza rifiuta i canoni occidentali e la democrazia come viene intesa dalle nostre parti, e sono loro stessi a precisarlo. Voglio una nuova forma dell'impero persiano che superi l'asservimento alla dottrina islamica. Questa "rivoluzione a bassa intensità" è incarnata da tre segmenti generazionali. Il primo è quello dei nati negli Anni 1360 islamici (gli Ottanta occidentali), assimilabili ai nostri Millennial. Sono i trenta-quarantenni iraniani che hanno pagato il più alto prezzo di sangue nelle guerre in Iraq e Siria, per tenere in vita il regime di Bashar al-Assad e che ora chiedono una minore esposizione sui teatri di conflitto e maggiori retribuzioni per lo sforzo profuso. Al loro fianco si agita un gruppo di giovanissimi che rifiuta lo schema occidentale, nonostante molti in Europa e negli Usa non lo abbiano compreso. Nel 2022 il Paese è travolto dall'ondata di proteste per Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo. Un'eroica componente femminile chiede pari diritti e sfila con gioielli zoroastriani, cioè relativi alla religione diffusa in Persia prima dell'arrivo dell'Islam. È una generazione ubriaca ed esperta di tecnologia, che si pone contro l'oscurantista classe dirigente accusata di volere l'isolazionismo digitale. Vogliono una Persia imperiale, ma laica. Vogliono rovesciare l'attuale regime, ma senza che il nuovo governo torni fantoccio di potenze straniere come nel Novecento. Tra gli "arrabbiati" iraniani ci sono infine i nati nei Novanta persiani (anni Dieci del Duemila), corrispondente all'americana Generazione Alpha. Li chiamano i nati degli "anni turbolenti", perché scanditi da sanzioni e altri atti ostili occidentali, con conseguente stress socioeconomico e tendenza a sfuggire al canone culturale dominante. Per le strade e nelle piazze di Teheran hanno urlato il loro credo: "Non Gaza, né per il Libano. Darò la vita soltanto per l'Iran".
Lo scambio di attacchi reciproci di livello così violento non potranno andare avanti per molto tempo. Sebbene lo stato delle operazioni possa durare anche settimane, i due schieramenti dovranno presto rallentare l'escalation, pressati dalle potenze straniere. Da un lato gli Stati Uniti, non più capaci come un tempo di frenare le intemperanze israeliane, e dall'altro Russia e Cina, cooperanti dell'Iran in funzione anti-occidentale ma contrari a un conflitto allargato e prolungato nella regione. Il rischio nucleare sembra assai meno probabile, visto che l'Iran non possiede capacità di risposta nucleare, ammesso che abbia sviluppato ordigni atomici. Israele invece è in grado di lanciare testate tattiche in qualsiasi momento. Le possibilità sono riassumibili in cinque scenari: