DAL 7 OTTOBRE A OGGI

Perché Israele ha attaccato l'Iran e come ci siamo arrivati

Dal 7 ottobre 2023 la ritorsione dello Stato ebraico si è scagliata contro gli alleati di Teheran in Medioriente (Hamas, Hezbollah e Houthi). Arrivando poi al grande ultimo attacco. Nel mirino c'è infatti il programma nucleare iraniano, più difficilmente un cambio di regime

di Maurizio Perriello
13 Giu 2025 - 15:43
 © Ansa

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Dire che Israele stava pianificando da anni l'attacco contro i siti nucleari dell'Iran non rende bene l'idea. I due Paesi sono i nemici più nemici che esistano, immersi nella polveriera geopolitica più incandescente del pianeta: il Medioriente. Dal maxi attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre 2023, la ritorsione dello Stato ebraico si è scatenata con violenza contro il cosiddetto Asse della Resistenza o Mezzaluna Sciita, cioè la rete di alleati dell'Iran formata dai fondamentalisti di Gaza, da Hezbollah in Libano e dagli Houthi in Yemen. Le operazioni israeliane hanno colpito gli agenti di prossimità di Teheran con l'obiettivo tattico di rompere l'accerchiamento e con l'intento strategico di affossare la potenza iraniana. Per riuscirci, Israele ha sempre avuto nel mirino l'unico fattore che potrebbe ribaltare la situazione e cambiare gli equilibri dell'area e del pianeta: il programma nucleare iraniano. Dopo aver atterrito i tre proxy iraniani, lo Stato ebraico è passato direttamente al grande nemico.

Nel mirino il programma nucleare o un cambio di regime?

 Che il programma nucleare iraniano fosse la minaccia principale per la stabilità della regione e gli equilibri del pianeta, su Tgcom24 lo avevamo anticipato più di un anno fa. Nessuno è capace di stabilire con assoluta precisione quanto l'Iran sia vicino a ottenere la bomba atomica. L'equazione è semplice: Israele ce l'ha, l'Iran non si sa. Non si sa perché Teheran non fa più parte dell'accordo sul nucleare del 2015 stracciato da Donald Trump e non si sente dunque obbligato a dichiarare lo stato della propria capacità nucleare. Lo Stato ebraico ora però afferma che la Repubblica Islamica ha arricchito l'uranio in quantità sufficiente a produrre 15 bombe nucleari. Sulla base di questa considerazione, Tel Aviv ha lanciato l'operazione "Rising Lion" contro Teheran, annunciando di voler colpire anche gli altri siti atomici persiani. Lo scopo non sarebbe dunque quello di costringere l'Iran al cambio di regime, tra l'altro da mesi nell'aria a causa di profonde fratture socio-politiche interne al Paese e ai vertici della Repubblica Islamica. Secondo diversi analisti, in questo senso Israele avrebbe anzi perso l'occasione per rovesciare il governo degli ayatollah. Se avesse lanciato un attacco più preciso, colpendo i funzionari del regime senza vittime civili, avrebbe forse avuto l'occasione per indurre la popolazione alla rivoluzione. Invece le bombe israeliane sono cadute anche su edifici e infrastrutture civili, inclusi aeroporti.

Israele si mette di traverso nel dialogo tra Usa e Iran sul nucleare

 L'operazione di Israele è giunta pochi giorni prima del secondo round di colloqui tra Stati Uniti e Iran proprio sul nucleare. A ulteriore testimonianza della centralità del dossier. Alcuni analisti inseriscono nell'equazione la crescente tensione tra le cancellerie di Donald Trump e Benjamin Netanyahu, con quest'ultimo risentito per la percepita "indifferenza" americana. Israele è il baluardo occidentale in Medioriente, dotato di capacità di risposta atomica appositamente per evitare che un Paese possa ergersi al di sopra degli altri. Iran in primis. Agli occhi del governo Netanyahu, la riapertura del dialogo sul nucleare tra Washington e Teheran rappresentava un'altra minaccia per la tenuta politica del Paese.

Trump coglie l'occasione

 Che gli Usa fossero davvero al corrente dell'attacco (molto probabile) o meno, la superiorità militare manifestata da Israele ai danni dell'Iran è stata colta al balzo da Donald Trump. Del resto, al di là degli attriti tra cancellerie, il presidente americano guardava con favore alla prosecuzione delle operazioni militari israeliane in Medioriente. Proprio in ottica di indebolimento della rete di alleanze di Teheran e conseguente miglioramento dei rapporti tra Tel Aviv e monarchie arabe del Golfo. Ecco dunque che il tycoon ha girato a suo favore la situazione, dicendo di aver avvertito in tempo l'Iran e che, "se non si raggiungerà un accordo, resterà molto poco" del Paese. In realtà i colloqui riaperti con Teheran sul nucleare rivelavano (e rivelano) la volontà statunitense di raggiungere un'intesa ed evitare l'escalation nella regione.

Attacco all'Iran, palazzi distrutti a Teheran per colpire vertici militari e scienziati

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Si va verso l'escalation nucleare in Medioriente?

 Gli ispettori dell'Aiea e le agenzie di intelligence statunitensi non sono riusciti a far luce davvero sulla capacità nucleare dell'Iran. Questo è un fattore decisivo, perché di norma nessun Paese riesce a dotarsi dell'arma atomica senza che gli altri Paesi se ne accorgano mesi prima. In questo lasso di tempo questi altri Paesi si muoverebbero militarmente contro l'Iran, comprese Cina e Russia che, come tutti, non vogliono che anche Teheran si doti dell'ordigno nucleare strategico. Israele si è mosso prima di tutti, ma non avrebbe interesse a prolungare la guerra diretta e totale contro l'Iran, almeno al momento. Gli Accordi di Abramo, che segnano la normalizzazione tra Israele e monarchie arabe (sauditi in primis), si basano sulla potenza israeliana e sulla capacità di protezione dalla minaccia iraniana. Il 7 ottobre e i successivi mesi di guerra avevano compromesso molto questa percezione, indebolendo l'immagine dello Stato ebraico come ombrello nucleare del Medioriente. Da qui la volontà di colpire. E colpire forte.

La differenza tra arma nucleare e capacità di risposta nucleare

 Sulla minaccia nucleare iraniana bisogna sottolineare un altro aspetto fondamentale: avere la bomba atomica non vuol dire saperla o poterla usare. Israele, ad esempio, ha capacità di risposta atomica quasi istantanea, con la possibilità di caricare le testate su navi e aerei. L'Iran, ammesso che abbia davvero raggiunto un livello sufficiente di arricchimento dell'uranio, non è dotata degli strumenti per lanciare le eventuali bombe nucleari ottenute. Dunque possedere armi nucleari è solo il primo passo: significa poter minacciare, ma non necessariamente poter usare efficacemente quelle armi in un conflitto reale.

Il precedente scontro diretto tra Israele e Iran ad aprile 2024

 L'operazione odierna di Israele è molto diversa da quella "telefonata" lanciata nell'aprile 2024. Il 1° aprile dell'anno scorso, lo Stato ebraico colpì una sede consolare iraniana a Damasco, nella Siria terra di passaggio dei rifornimenti iraniani verso la triade Hamas-Hezbollah-Houthi. Rimasero uccisi alti ufficiali dei Pasdaran. Poi è toccato agli attacchi "chiamati" da parte dei persiani. Tra 13 e 14 aprile Teheran ha avvisato per tempo Israele e Stati Uniti delle centinaia di droni e missili in arrivo, con tanto di conto alla rovescia durato ore e mirando a zone non densamente popolate. Sette feriti e qualche danno. Questo perché Teheran, come Washington, non voleva l'escalation e la guerra aperta con lo Stato ebraico, grande potenza regionale dotata di arma nucleare. Ma di fatto l'escalation l'aveva sfiorata, con reciproci giuramenti di futura e letale vendetta. Poi è toccato nuovamente a Israele replicare alla Repubblica Islamica, tuttavia contrattaccando in maniera apparentemente "moscia", come affermato dall'esponente dell'ultradestra israeliana al governo Ben Gvir. Segno che anche Tel Aviv aveva interesse a evitare l'escalation.

Gli impianti nucleari in Iran

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Dal 7 ottobre a oggi: la guerra di Israele a Iran e alleati

 Prima di arrivare al mutuo attacco diretto con l'Iran, Israele ha tentato per oltre un anno e mezzo di rompere la catena di supporto tra Iran e i suoi agenti di prossimità. A partire da Hamas, con il quale lo scontro si è tramutato nella devastazione totale della Striscia di Gaza, con decine di migliaia di vittime civili. Fin dall'8 ottobre 2023, l'offensiva israeliana si è concentrata anche contro il sud del Libano, contro siti di Hezbollah. Per mesi relegata nello scontro a bassa intensità, l'aggressività israeliana si è scatenata nel settembre 2024, con l'uccisione del leader Hassan Nasrallah a Beirut e raid che hanno decimato la potenza del "Partito di dio". Nel dicembre 2024 Israele e Hezbollah concordano un cessate il fuoco dopo 13 mesi di guerra e i fondamentalisti si impegnano a rimuovere la presenza armata nel sud del Libano entro 60 giorni. Lo Stato ebraico ha dovuto affrontare anche gli alleati iraniani in Yemen, gli Houthi, spina nel fianco anche per l'Arabia Saudita. Gli attacchi dei ribelli nello Stretto di Bab el-Mandeb hanno colpito duramente il commercio mondiale, rendendo pericolosa la traversata del Mar Rosso e costringendo le navi cargo a circumnavigare l'Africa per portare le merci in Occidente. Si è passati poi allo scambio di missili con Israele, il quale nel maggio 2025 ha deciso di compiere attacchi più forti contro Sana'a e Hodeida.

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