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Europee, in Gran Bretagna il Brexit Party primo con 29 seggi: male Labour e Tory

Al partito di Farage il 32% dei voti, ma lʼaffluenza non supera il 36,7%

Europee, in Gran Bretagna il Brexit Party primo con 29 seggi: male Labour e Tory - foto 1
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Alle Europee in Gran Bretagna, a scrutinio completato per l'assegnazione dei 70 seggi previsti, si conferma il successo per il Brexit Party di Nigel Farage intorno al 32%.

Buoni risultati anche per il fronte pro Remain di Liberaldemocratici e Verdi, mentre si registra una pesante sconfitta del Labour e il tracollo dei Tory al minimo storico. L'affluenza è al 36,7%, un paio di punti in più rispetto al 2014.

Sulla trincea opposta a quella di Farage si segnala il risultato dei Remain senza se e senza ma delle liste dei Liberaldemocratici (impennatisi al 20% con 16 seggi) e dei Verdi (12% e 7 seggi), oltre che degli indipendentisti scozzesi e gallesi di Snp e Plaid Cymru nelle rispettive roccaforti nazionali. A pagare pesantemente dazio sono le grandi chiese politiche del Regno: i conservatori della dimissionaria Theresa May, che collassano in attesa dell'epifania d'un nuovo leader al minimo storico del 9%, perdendo 15 seggi e rimanendo con 4; ma anche il Labour di Jeremy Corbyn, che si ritrova punito per il tentativo di rimanere in equilibrio fra i suoi elettori pro e anti Brexit, fermandosi a un modesto 14% e a 10 eletti (meno 8).

Le conseguenze dello scossone sono evidenti. Fra i Tory, fagocitati da un Farage che esibisce tutta la sua baldanza evocando "un messaggio schiacciante" da parte dell'elettorato brexiteer e ammonendo di essere pronto a rinnovare la sfida anche in una futura elezione nazionale, l'effetto immediato è il rafforzamento nella partita per il dopo-May dei candidati leader più euroscettici. Primo fra tutti Boris Johnson, secondo il quale dalle urne è arrivato "l'avvertimento finale": o si esce dall'Ue alla scadenza della proroga fissata da Bruxelles al 31 ottobre, con o senza accordo, o "gli elettori ci licenzieranno".

Fra i laburisti - azzoppati soprattutto dalla concorrenza pro Remain di LibDem e Verdi - si moltiplicano al contrario le pressioni su Corbyn per schierare decisamente il partito in favore di una campagna per un secondo referendum. A chiederlo sono ormai anche fedelissimi del suo governo ombra come John McDonnell o Diane Abbott. Il leader da parte sua resiste, insistendo sul refrain della necessità di "unire il Paese" oltre le divisioni fra Leave e Remain e della priorità di contrastare il prossimo governo Tory sulla strada di una "disastrosa" Brexit no deal. Mentre si limita a sposare l'appello a un voto popolare in prima battuta solo come "elezioni politiche" anticipate: rinviando ancora una volta al futuro la possibilità d'un bis referendario che potrebbe non materializzarsi mai.