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Alta Corte Israele: "Sì alla demolizione della Scuola di gomme"

Si tratta di un progetto realizzato dalla Ong italiana Vento di Terra: secondo i giudici mancano i permessi

La Corte Suprema israeliana ha autorizzato la demolizione del villaggio beduino Khan el-Ahmar (Cisgiordania) e della sua "Scuola di gomme" perché sono stati costruiti senza i necessari permessi.

I giudici hanno respinto gli appelli dei 200 abitanti che si oppongono al trasferimento nella vicina località di Abu Dis. La scuola è un progetto realizzato dalla Ong italiana Vento di Terra.

L'Ong italiana aveva anche lanciato una petizione su Change.org per chiedere di non abbattere la struttura. La scuola, spiegava Vento di Terra nel testo, "è divenuta un simbolo del diritto all'istruzione e di difesa dei diritti delle comunità beduine palestinesi residenti nell'Area C della Palestina occupata militarmente da Israele. Si tratta di una struttura senza fondamenta realizzata con pneumatici usati, progettata dallo studio Arcò di Milano, per fare fronte alla proibizione delle Autorità Israeliane di realizzare costruzioni in muratura nell'area C e alle specifiche esigenze locali".

Nell'area, sottolineava infine la Ong italiana, "non sono state realizzate strutture a favore delle popolazione palestinese, mentre continua a crescere e ad ampliarsi la colonia di Maale Adumin, la cui costruzione ha significato il trasferimento e l'evacuazione della popolazione beduina che viveva su quel terreno. La demolizione della scuola di Khan Al Ahmar creerebbe un pericoloso precedente e un danno notevolissimo alla comunità locale, ponendo le basi per una sua rapida deportazione. Si tratterebbe della seconda demolizione di una struttura realizzata dalla Cooperazione italiana in due anni, dopo lo spianamento del luglio 2014 del Centro per l'infanzia di Um al Nasser, nella Striscia di Gaza, anch'esso realizzato dalla Ong Vento di Terra. Azione perpetrata dall'Esercito israeliano durante l'occupazione dell'area, in piena violazione della Quarta Convenzione di Ginevra".

La decisione della Corte suprema israeliana è stata condannata anche dalla presidenza palestinese, secondo cui "la politica di pulizia etnica è la forma peggiore di discriminazione razziale, che è divenuta la caratteristica predominante delle pratiche e delle decisioni del governo israeliano".